«La tradizione di un popolo, si tutela con la verità», e per tale motivo «questa difesa, nel rispetto delle vittime e delle persone offese, non ritiene debba accogliersi il richiamo alla ragion di stato, tale da indurre alla meschinità della tutela della tradizione di un popolo che si proietta nel mare, nel rispetto della sua legge, per confinare, quindi, la tragedia nell'oblio delle fatalità».

L’esortazione chiude le 34 pagine della memoria presentata dal pool di avvocati impegnati nella difesa delle famiglie delle vittime del naufragio del 26 febbraio scorso a Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, Calabria. Nel disastro sono morte 86 persone ad oggi, numero che potrebbe aumentare ancora se il mare dovesse restituire altri corpi. Tra le vittime molti bambini e bambine. Tutti provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan.

Ognuno di loro avrebbe avuto diritto alla protezione umanitaria. Invece hanno incrociato il destino più crudele. Ma il destino poteva essere diverso, sostengono i legali Luigi Li Gotti, Mitja Gialuz, Vincenzo Cardone e Francesco Verri: non può essere confinata la tragedia nell’oblio delle fatalità, hanno scritto.

Per questa ragione hanno indicato alla procura di Crotone, che presto riceverà un secondo fascicolo dai colleghi di Roma, sulle piste da indagare per capire le responsabilità della catena gerarchica che ha temporeggiato o sulle cause politiche di questa attesa che ha lasciato in balia di un mare tempestoso quasi 200 esseri umani in viaggio da 4 giorni sulla rotta turca lungo il tratto di mare Jonio che conduce alla Calabria.

Associated Press/LaPresse

«Indagate sul mayday»

Dopo un resoconto dettagliato delle leggi e delle convenzioni internazionali e nazionali, il pool di avvocati entra nel merito dei punti oscuri ancora da decifrare.

I primi cinque sono connessi alla notizia pubblicata da Domani sul misterioso mayday ricevuto dal centro di coordinamento della guardia costiera. Si riporta «un’annotazione di servizio del Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto, Centrale operativa – Imrcc (Italian Maritime rescue coordination centre)», in cui emerge «che il giorno 24 febbraio 2023 alle 20:51 la Capitaneria di Porto di Roccella Ionica ha ricevuto una segnalazione di “mayday».

Roccella è un comune della Calabria sulla costa jonica, a 100 chilometri da Steccato di Cutro. La segnalazione è rilevante perché arrivata più di 24 ore prima di quella che porterà all’intervento non della guardia costiera ma della finanza con le imbarcazioni non adatte ad affrontare onde in quelle ore molto alte.

Tuttavia nei giorni successivi al naufragio né il governo né la guardia costiera rendono noto l’esistenza di questa comunicazione che aveva portato all’apertura di un evento Sar, codice 384: in pratica il 24 dopo il mayday era stato aperto un caso Sar, Search and Rescue (ricerca e soccorso) che è cosa ben diversa dall’operazione di law and enforcement, di contrasto all’immigrazione clandestina, avviata la notte del giorno 25 febbraio.  

La domanda cui neppure la guardia costiera ha ancora risposto in maniera netta è sempre la stessa: la barca in distress da cui è partito il mayday era la stessa poi naufragata sulla spiaggia calabrese?

«Non si può escludere con certezza perché la barca del 24 non è stata mai individuata», è stata la risposta ricevuta da Domani quando ha posto la domanda alla guardia costiera.

Alcuni elementi farebbero pensare che si potesse trattare della medesima imbarcazione: la rotta, innanzitutto, e l’indicazione dell’area di provenienza del segnale, cioè il mar Jonio.

Vista la reticenza di chi ha trattato il caso, incluso i ministri competenti, non resta che aspettare la risposte dei pm sollecitati dai legali delle vittime, i quali chiedono in particolare di chiarire: «L’eventuale riferibilità all’imbarcazione naufragata della richiesta di aiuto (mayday), ricevuto dalla Capitaneria di Porto di Roccella Ionica, alle ore 20.51 del 24 febbraio; l’eventuale riferibilità all’imbarcazione naufragata del messaggio di distress (emergenza e pericolo) a tutte le navi in transito nel mare Ionio, con apertura di “Sar case 384”; l’eventuale rintraccio del natante da cui è partito il “mayday” di cui sopra; l’individuazione delle coordinate della posizione del natante da cui è partito il “mayday”; l’esclusione del naufragio di un natante nel tratto di mare antistante la costa ionica centro meridionale della Calabria». 

Il ruolo di Frontex

I punti seguenti (dal 6 all’8) della memoria depositata in procura dagli avvocati delle vittime servono a stimolare risposte più esaustive sulle segnalazioni inviate da Frontex, l’agenzia di frontiera europea, nella tarda serata del 25 febbraio, a poche ore dal naufragio.

I legali chiedono perciò di indagare e fornire risposte su chi  «abbia ricevuto e valutato la segnalazione di Frontex delle ore 23.03 del 25 febbraio, pervenuta al centro di coordinamento nazionale presso il ministero dell’Interno con indicazione di una sola persona sopracoperta, gli oblò di prua aperti, mare forza 4, la presenza di persone sottocoperta con la risposta termica proveniente dagli stessi oblò, l'assenza di salvagenti a bordo».

Inoltre «se a chi e con quale contenuto, sia stata diramata la segnalazione di Frontex, dal Centro di coordinamento nazionale di cui sopra». infine se ci sono state ulteriori disposizioni «circa la comunicazione pervenuta da Frontex il 25 febbraio».

Questo serve a capire il perché la barca carica di migranti non sia stata trattata  come caso Sar. Con il medesimo obiettivo i legali pongono ai pm altre questioni rilevanti. 

Regole d’ingaggio

Il punto 9 della memoria chiede di indagare sulle decisioni assunte in quelle ore. In particolare se sulla decisione di non classificare il caso come Sar «abbiano influito l’Accordo operativo del ministero dell’Interno del 14.9.2005 e/o qualsiasi altra direttiva, in qualunque modo impartita, di interpretazione del (e, in caso, in contrasto con il) diritto del mare quale risulta dalle norme nazionali e internazionali e dalla giurisprudenza sopra richiamate».

Il riferimento è un protocollo di 17 anni fa attuato dal governo Berlusconi e riattualizzato dal governo in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno.

L’accordo operativo prevede che in caso di «localizzazione di natante che trasporta immigrati clandestini, localizzato oltre le 24 miglia dalla linea di base ma non in situazione Sar» le unità navali “devono limitarsi ad assicurare il monitoraggio (possibilmente in forma occulta) dei movimenti del natante stesso», mentre l’intervento «per prestare immediato soccorso» è prescritto quando «un mezzo aeronavale che localizza un natate, intento al trasporto di immigrati clandestini, (…) constata il serio e imminente pericolo di vita per gli occupanti del natante stesso, a prescindere dal fatto che il natante si trovi in acque territoriali od internazionali».

Guardia di finanza e costiera

Gli ultimi due punti della memoria sono altrettanto importanti per capire le cause del non intervento della guardia costiera con le sue potenti motovedette in grado di sfidare il mare fino a forza 8.

I legali chiedono alla procura di Crotone sul coordinamento guardia di Finanza e Costiera. «Se la guardia di Finanza, preso atto che le condizioni meteomarine rendevano impossibile la navigazione della motovedetta V.5006 della sezione operativa navale Gdf di Crotone e del pattugliatore veloce P.V. 6 “Barbarisi” del gruppo aeronavale Gdf Taranto abbia segnalato la circostanza alla Capitaneria di porto di Crotone e come, nel caso, abbia risposto quest’ultima». 

I legali sottolineano quest’ultima parte portando un esempio concreto di un salvataggio del 2020: «Perché il 9 settembre 2020 (e in molti altri casi) la guardia di Finanza e la guardia Costiera hanno soccorso un’imbarcazione con 97 persone a bordo in balia delle onde con mare forza 5 diretta sullo stesso tratto di costa, a differenza della notte del 26 febbraio 2023». 

L’ultimo quesito potrebbe apparire banale, ma è in questa semplice constatazione fondata su fatti impossibile da smentire, che potrebbe celarsi la risoluzione del giallo di Steccato di Cutro. Un mistero di stato per ora, costato la vita a 86 persone. 

«Un comune, prioritario, obiettivo: la ricerca della verità per il rispetto che il paese deve, in tutte le sue componenti, alle bambine e ai bambini, alle donne e agli uomini che, in quanto perseguitati, avevano diritto di giungere in Europa per chiedere la protezione internazionale ma sono morti a poche decine di metri dalla meta, e ai loro familiari», scrivono nella memoria i quattro avvocati.

Questa finora è l’unica certezza di questa triste storia infarcita di versioni incoerenti del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, oltreché da frasi irrispettose nei confronti di chi ha perso la vita la notte la mattina del 26 febbraio sulla spiaggia di Steccato di Cutro.

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