Da quando è comparso sulla Terra, è stato chiaro che il Sars-CoV-2 causa negli adulti una malattia aggressiva e spesso letale. Restava da risolvere un quesito: il Covid può provocare danni anche nei neonati?

Dani Dimitriu, una pediatra che lavora al Presbyterian Hospital di New York, a lungo è stata tormentata da questo dubbio. Sapeva che certi virus possono provocare deformità e danni al feto, e temeva potesse farlo anche il nuovo coronavirus.

Ma poi, col passare dei mesi, diverse donne che erano state esposte al Covid ricoverate nel suo reparto avevano partorito neonati perfettamente sani, e le sue paure erano scomparse. Però, le era rimasta una curiosità.

La dottoressa Dimitriu è un’esperta di sviluppo infantile, e dal 2017 col suo team studia come le abilità motorie e la comunicazione si evolvano nei primi sei mesi di vita del neonato. L’è venuto in mente che poteva essere interessante comparare i bimbi durante la pandemia con quelli nati prima di essa, e ha affidato alla dottoressa Morgan Firenstein, una giovane psicologa del suo team, l’incarico di studiare se c’erano differenze nello sviluppo nervoso e cognitivo tra i due gruppi.

L’ambiente mutato

Pochi giorni dopo, la dottoressa Firenstein, in preda al panico, ha chiamato la dottoressa Dimitriu. «Continuava a ripetermi: è tremendo, non so che cosa fare, la pandemia provoca effetti sui bambini, e sono statisticamente significativi!», racconta Dimitriu.

Per tutta la notte hanno esaminato freneticamente i dati. I bimbi nati durante la pandemia mostravano in media punteggi molto più bassi, nei test che analizzavano le loro abilità motorie grossolane e fini e le capacità di comunicazione, rispetto a quelli nati prima della pandemia (i punteggi venivano ricavati sulla base di questionari compilati dai genitori dei neonati). Le due scienziate erano sconvolte.

I neonati venuti al mondo durante la pandemia avevano capacità motorie e comunicative molto inferiori rispetto a quelli nati prima, e non importava se i genitori di quei neonati fossero stati infettati dal virus oppure no: sembrava ci fosse qualcosa nell’ambiente stesso che il Covid aveva creato.

Ovvero, la causa di quei deficit di sviluppo non era il virus ma l’ambiente in cui viviamo, mutato dalla pandemia. La dottoressa Dimitriu era terrorizzata: «Pensai: mio Dio! Ma qui stiamo parlando di centinaia di milioni di bambini!»

Genitori sotto stress

Gli studi compiuti finora sembrano suggerire che a influire in maniera negativa sullo sviluppo cerebrale del feto non sia il Sars-CoV-2, ma lo stress associato alla pandemia provato dei genitori – più spesso dalla madre – nel corso della gravidanza.

Inoltre, genitori preoccupati o stanchi a causa del virus potrebbero interagire in maniera diversa o inferiore alla norma con i figli nei primi mesi dopo la nascita, in modo da ritardare lo sviluppo delle loro capacità fisiche e mentali.

Il lockdown e il distanziamento sociale – misure che sono state fondamentali nel controllare la diffusione del coronavirus – hanno isolato molte giovani famiglie, rubando ai bimbi tempo prezioso per il gioco e per le interazioni sociali.

Affidati a genitori sempre più stressati e provati economicamente, e sottratti alle cure dei nonni, dei parenti, o dei babysitter, i bimbi della pandemia sono cresciuti da soli, chiusi in casa, senza potere avere un contatto amorevole con chi normalmente si sarebbe preso cura del loro sviluppo, e senza poter giocare con altri neonati. Tutto questo ha indubbiamente un peso, e molti scienziati sono preoccupati.

Disparità sociali ed economiche

Alcuni team di scienziati che studiano lo sviluppo infantile stanno cominciando a pubblicare le loro scoperte, e altri studi sono in corso. Queste ricerche iniziali mostrano che certi bimbi nati nel corso degli ultimi due anni sembrano mostrare ritardi nello sviluppo, mentre altri, accuditi da genitori benestanti che possono permettersi di lavorare da casa e di dedicare più tempo ai propri figli, sembrano crescere in maniera splendida, meglio di prima.

Le disparità sociali ed economiche, come per altri aspetti della pandemia, giocano in questo un ruolo fondamentale. Lo sviluppo mentale dei neonati che crescono in famiglie svantaggiate economicamente pare essere molto inferiore rispetto a quelli delle famiglie agiate.

Gran parte degli esperti pensano che i bimbi che al momento mostrano un ritardo nello sviluppo cognitivo poi in breve tempo si metteranno alla pari con gli altri, durante la pandemia. Ma non tutti sono d’accordo.

Il dottor Sean Deoni, neuroscienziato, e i suoi colleghi del suo team, che lavorano alla Brown University, presso Boston, utilizzano la risonanza magnetica e altri raffinati metodi per studiare come l’ambiente modelli lo sviluppo cerebrale del neonato.

Hanno scoperto che i bambini nati durante la pandemia mostrano uno sviluppo cerebrale molto inferiore rispetto a quelli nati prima. «I risultati cadono in picchiata a partire dal 2020, anno di inizio della pandemia. I bimbi che mostrano i risultati inferiori sono quelli che provengono da famiglie a basso reddito, e i maschi sono più colpiti delle femmine, con deficit che riguardano soprattutto le capacità motorie più grossolane». 

In sostanza, i neonati della pandemia imparano a muoversi, a camminare e a coordinare i loro movimenti peggio o in ritardo rispetto a quelli nati prima della pandemia.

Carenza di relazioni umane

La domanda chiave è: i bimbi nati durante la pandemia di Covid-19 avranno deficit cognitivi o motori duraturi? Il dottor Deoni pensa che la causa di tutto sia una carenza di relazioni umane.

In un suo studio non ancora pubblicato, il dottor Deoni e il suo team dimostrano che nel corso di questi ultimi due anni i genitori hanno rivolto ai loro figli neonati un numero di parole assai inferiore rispetto a quanto non facessero le coppie in epoca pre pandemia.

Inoltre, Deoni sospetta che i bimbi durante la pandemia passino meno tempo per imparare a camminare, o per andare al parco a giocare con gli altri bambini. «A quell’età un bimbo impara a fare le cose soprattutto osservando gli altri, specie gli altri bimbi, e purtroppo adesso non può farlo», dice.

I neonati e i bimbi che sono andati al nido o all’asilo durante la pandemia in genere hanno interagito con individui che indossavano mascherine. Alcuni studi condotti da scienziati negli Stati Uniti sembrano suggerire che le mascherine rendano più difficile per il bambino interpretare le emozioni di chi si prende cura di loro, anche se questo non sembra avere effetti negativi duraturi sul suo sviluppo.

Prima di nascere

Altri studi sembrano dimostrare che la pandemia possa influenzare lo sviluppo del bambino quando è ancora nel ventre materno, prima della nascita. Catherine Leibel, una psicologa dell’Università di Calgary, in Canada, ha seguito più di 8.000 coppie di genitori che stavano aspettando un bambino durante la pandemia. Quasi la metà di loro hanno sofferto di ansia, e quasi un terzo di depressione, percentuali molto più alte rispetto a quelle osservate prima della pandemia.

Il team di scienziati ha effettuato risonanze magnetiche su 75 dei bimbi di queste coppie a tre mesi età, e ha scoperto che nei figli di coloro che soffrivano di ansia o di depressione le aree che controllano l’espressione delle emozioni e l’esecuzione di compiti motori raffinati erano meno sviluppate rispetto a quelle delle coppie “tranquille”.

Anche il dottor Livio Provenzi, psicologo della Fondazione Mondino di Pavia, e i suoi colleghi, hanno osservato che i bimbi di tre mesi di età nati da coppie che avevano sofferto di stress e di ansia nel corso della gravidanza, in pandemia, si distraggono più facilmente, piangono di più e sono più difficilmente consolabili, cioè hanno maggiore difficoltà a controllare le loro emozioni e la loro attenzione, rispetto ai bimbi nati da coppie “sane”.

Insomma, dobbiamo preoccuparci, ma non troppo. I bimbi, specie da piccoli, hanno un cervello plastico che risponde egregiamente agli stimoli dell’ambiente. Noi dobbiamo solo prenderci cura di loro, stimolarli, giocare con loro, leggergli le favole, e volergli bene. L’amore è la migliore medicina.

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