Si respira un’aria di attesa nel centro di accoglienza per bisognosi “Papa Francesco”, a pochi passi dalla basilica di Santa Maria degli Angeli, che questa mattina accoglierà il pontefice in visita privata nella città umbra.

Alla sua quinta volta ad Assisi, la seconda dallo scoppio della pandemia, Francesco ha scelto la discrezione di un incontro privato per incontrare i poveri a pochi giorni dalla Giornata mondiale a loro dedicata, il prossimo 14 novembre.

Non è una novità: il papa argentino ha uno stretto legame con san Francesco, icona della sua “chiesa povera per i poveri” proiettata verso le periferie geografiche e sociali. Ma il filo che lega il santo al gesuita Bergoglio non si riduce a uno specchio del suo magistero papale.

Un consiglio francescano

LaPresse

La prima rivoluzione del papa argentino è nel nome, non solo spogliato del numero ordinale come da tradizione millenaria, ma anche per il suo legame diretto con il “poverello di Assisi”.

Lo ha dichiarato Bergoglio stesso pochi giorni dopo la sua elezione, sgombrando il campo da qualsiasi fraintendimento di chi pensava che quel nome celasse un richiamo ai padri dell’ordine gesuita, da Francesco Saverio a Francesco di Sales.

La scelta dell’onomastica francescana, invece, nacque in seguito al suggerimento che il papa, ancora nella cappella Sistina, ebbe dal suo amico, il porporato francescano Claudio Hummes: «Non dimenticarti dei poveri». Fu, quindi, spontanea la scelta di Francesco, sceso a patti con «sorella povertà», corpo e spirito di una chiesa spirituale, affine alla sua idea di pontificato.

L’assimilazione con il santo di Assisi ha, così, contribuito alla creazione di un’immagine del papa piuttosto che del suo papato, a partire dall’apparato iconografico: l’abito bianco liso del papa, coincidente con il saio francescano in mostra nella Sala capitolare di Assisi, la sua croce d’argento sovrapponibile al tao ligneo, hanno fatto da contraltare ai paramenti liturgici dei predecessori, riflesso di una chiesa sofisticata, bollata dal papa con un rifiuto a tratti caricaturale.

Una chiesa più “volgare”

LaPresse LaPresse / Fabrizio Corradetti

Bergoglio ha trovato così in san Francesco un autorevole strumento a sostegno del suo pontificato dalle diverse facce: pauperista, ecologico, progressista, mistico. La sua enciclica verde, la Laudato si’, attinge al primo verso del Cantico delle creature, primo esempio di volgare nella letteratura italiana.

Non è un aspetto marginale per un pontefice che, con il recente motu proprio Traditio custodes, ha osteggiato il revanscismo del Messale romano del 1962 nel timore di un «uso strumentale sempre più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma dal Concilio Vaticano II», aggiornando quanto il motu proprio Summorum pontificum (2007) di papa Benedetto XVI aveva cristallizzato.

Per Bergoglio, la nascita di una chiesa delle periferie e «indigenista» va promossa con un lessico unitario piuttosto che divisivo così come, optando per il volgare in un inno sacro, san Francesco aveva costruito il volto di una chiesa accessibile a tutti, specialmente ai poveri. Per lo stesso motivo, il 3 settembre 2020 Bergoglio ha scelto la basilica di Assisi per firmare la sua terza enciclica Fratelli tutti, rompendo un protocollo di duecento anni che richiedeva di bollare le encicliche dentro le mura vaticane.

Anche in questo caso, chi se non «il santo della fraternità universale, il fratello di tutti, che lodava il Signore per le sue creature» avrebbe potuto dare autorevolezza al suo gesto?

La metamorfosi di Assisi

Swiss Guards march in the San Damasco Courtyard as they wait for the arrival of India's Prime Minister Narendra Modi for a meeting with Pope Francis at the Vatican, Saturday, Oct. 30, 2021. (AP Photo/Riccardo De Luca)

Scegliendo san Francesco come nume tutelare del suo pontificato, Bergoglio si inseriva in un solco già tracciato da Giovanni Paolo II. Legato ai conventuali polacchi, Wojtyla aveva fatto della città umbra – visitata per ben sei volte – il centro di un rinnovato dialogo interreligioso: era il 27 ottobre 1986 quando, al cospetto dei leader di tutte le religioni, inaugurò il cosiddetto «spirito di Assisi» per l’edificazione di una pace tra le diverse confessioni.

Spirito in seguito smorzato da papa Benedetto XVI che, seppure rinnovò quell’incontro in uno analogo, non nascose i timori di sincretismo nell’evento, come rivelò in una lettera da lui scritta il 4 marzo 2011 al pastore luterano tedesco Peter Beyerhaus.

Per giunta, al soglio di Pietro, Ratzinger scelse il nome di san Benedetto da Norcia, il monaco che ben incarnava la linea programmatica di un pontificato volto a recuperare «una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente (…), la realtà che noi chiamiamo Europa» (Udienza generale, 9 aprile 2008).

Al momento dell’elezione di Bergoglio, quindi, la figura di san Francesco, appena sbiadita, era pronta a essere risemantizzata. Con lui, Assisi ha perso il ruolo istituzionale di centro interreligioso: nel ricordo degli 800 anni dall’incontro tra san Francesco e il sultano al Malik al Kāmil, Bergoglio ha scelto di visitare il Marocco, mentre – con la supervisione della comunità di sant’Egidio – è stata Roma ad appropriarsi del ruolo di città delle religioni. I viaggi compiuti in otto anni di pontificato hanno mostrato che Bergoglio predilige le zone di frontiera per tirare le fila degli incontri con i leader religiosi, come Abu Dhabi o l’irachena Mosul.

Un conclave francescano

In questo modo, Assisi è tornata a essere la città che getta le basi di una chiesa francescana, nel senso papale del termine. Lo suggerisce la miriade di eventi organizzati negli anni, come “The economy of Francesco”, in cui il nome proprio traccia il legame tra il santo e il papa.

Le relazioni con l’ordine francescano si sono rinsaldate anche nella curia romana. Nel 2013, il conclave che elesse papa Francesco poteva contare tre porporati francescani conventuali: il brasiliano Claudio Hummes, già prefetto della Congregazione per il clero, lo spagnolo Carlos Amigo Vallejo e il sudafricano Wilfred Fox Napier.

Da allora, i cardinali francescani sono visibilmente aumentati: vi si aggiungono lo spagnolo Celestino Aós, il custode del Sacro convento di Assisi fra Mauro Gambetti e il teologo cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia dagli anni Ottanta.

È il segno di un legame con il santo di Assisi, che neppure i cronici dissidi tra la chiesa bosniaca e i francescani di Medjugorje – luogo di presunte apparizioni mariane – sembrano scalfire. Almeno per ora.

© Riproduzione riservata