Se per papa Francesco la chiesa è un «ospedale da campo», la trincea dove si sta consumando la guerra più accesa è negli Stati Uniti. Nel paese dove le guerre culturali non hanno mai unito la doppia anima dei cattolici, le divergenti visioni tra i due inquilini della Casa Bianca, Donald Trump prima e oggi Joe Biden, e lo sforzo di sintesi dell’ultimo decennio di governo di papa Francesco, hanno ampliato lo iato tra i cattolici conservatori e quelli più progressisti.

Un «kairos moment», il «momento decisivo che sta vivendo l’America» lo ha definito l’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, ospite della Georgetown University, l’ateneo dei gesuiti di Washington D.C. che per primo si è schierato in difesa di Biden – secondo presidente cattolico degli Usa dopo John Fitzgerald Kennedy –  a cui alcuni vescovi avrebbero volentieri negato la comunione per il suo sostegno all’aborto.

Lo scorso anno, la stessa democratica Pelosi lo ha sperimentato sulla sua pelle, quando l’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, le ha negato l’eucarestia, fatto salvo vivo pentimento e rifiuto delle sue posizioni pro choice. «La nostra priorità è onorare la Costituzione che è coerente con i nostri valori, e non dettata da una religione di stato» ha risposto l’ex speaker democratica in polemica con qui vescovi che, secondo lei, così «negano il libero arbitrio».

Il dilemma del gender

E così alla gerarchia cattolica statunitense più conservatrice, non resta che avversare Francesco sul piano dottrinale, cioè su un terreno dove la chiesa pastorale e missionaria del papa argentino mostra punti tuttora irrisolti.

Il 20 marzo, la Commissione dei vescovi Usa per la dottrina ha pubblicato un testo contenente alcune direttive che vietano a enti cattolici di operare chirurgicamente o attraverso trattamenti farmacologici il cambio di sesso dei pazienti transgender. Il documento – specificano i vescovi – non esclude l’accoglienza ai credenti transgender, ma si richiama alle leggi federali per ribadire «la libertà delle istituzioni cattoliche di utilizzare modalità che rendono la nostra assistenza sanitaria autenticamente cattolica».

Un colpo duro a 13 anni dall’Affordable care act, la riforma sanitaria di Barack Obama che assicura, tra le altre cose, interventi per la transizione di genere, invitando le strutture ospedaliere a non discriminare. Eppure il tema divide anche i più “bergogliani”, come il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, vicino a papa Francesco, per il quale è comunque necessario garantire l’obiezione di coscienza.

La posizione ferma dell’episcopato statunitense chiama in causa gli indirizzi pastorali della chiesa verso la comunità Lgbt. «Ancora oggi molti vescovi cattolici sulle persone transgender diffondono informazioni imprecise» spiega suor Luisa Derouen, la religiosa domenicana che dal 1999 si dedica alla pastorale delle comunità trans: «Questi messaggi diminuiscono la qualità dell’assistenza sanitaria per le persone trans, ed evitano a tutti i costi gli operatori sanitari che non danno loro garanzie. E così, già banditi dalle loro famiglie e comunità di fede, vivono il trauma e la solitudine riducendosi spesso in situazioni di povertà e disoccupazioni, con risvolti drammatici».

Anche Pelosi lo ha ricordato nell’ateneo dei gesuiti: «Quella trans è la sfida più grande che dobbiamo affrontare». Aggiungendo che solo nel 2022 sono state presentate 300 proposte di legge anti Lgbt, di cui 130 verso la comunità transgender.

Due anni per cambiare gli Usa

Quella sul gender è solo la punta dell’iceberg di una crescente insofferenza sul piano dottrinale della chiesa di Francesco. Giovedì scorso, ricevendo i membri della Pontificia accademia alfonsiana nella sala Clementina, il papa ha invitato i teologi e moralisti a «rifuggire da dinamiche estremistiche di polarizzazione, tipiche più del dibattito mediatico che di una sana e fertile ricerca scientifica e teologica».

Sulle questioni di morale sociale, inoltre, Francesco chiede di evitare condanne, ma piuttosto farsi vicini alla vita reale delle persone, all’«essere umano concreto». Proprio per questo, quella della chiesa Usa è la prossima sfida di papa Francesco.

Come ha scritto Brian Fraga sul National Catholic Reporter, col turnover di dozzine di vescovi prossimi all’età pensionabile dei 75 anni, nei prossimi due anni il papa potrebbe davvero rimodellare la gerarchia cattolica statunitense.

«Se nominerà nuovi vescovi in tutte quelle chiese locali, Francesco avrà nominato il 64 per cento dell’episcopato degli Stati Uniti» scrive Fraga. Che questo sia l’obiettivo del papa è evidente nella scelta dei tre cardinali, espressione della sua chiesa pastorale: Wilton Gregory di Washington, Blase Cupich di Chicago e Robert McElroy di San Diego.

Ma trovare nomi fedeli alla linea Bergoglio non è semplice nel paese dove la dottrina è vista come l’ultimo baluardo di un cattolicesimo puro, osteggiato da Roma stessa. Sta facendo discutere la recente dichiarazione dei vescovi Usa che invita a non utilizzare il compostaggio umano e l’idrolisi alcalina per la sepoltura dei morti perché non «coerente all’insegnamento della chiesa sulla resurrezione del corpo». La battaglia dottrinale dei vescovi statunitensi è anche questo: trovare la tradizione nella sepoltura ai morti piuttosto che nella pastorale che il papa vorrebbe riservare ai vivi.

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