L’Agcom è molto solerte e severa, quando si tratta di infliggere una sanzione a Marco Damilano, che ha ospitato a Il cavallo e la torre su Rai 3 il pensiero provocatorio del filosofo Bernard-Henri Lévy. Ma molto pacata e riflessiva di fronte alla reiterata violazione della par condicio, portata avanti fin dall’inizio di agosto. Per decidere cosa fare, occorre un supplemento di tempo.

Intanto, la campagna elettorale è finita e gli squilibri non sono stati sanati, nonostante l’ultimatum fissato, dai vertici dell’Authority, il 17 settembre.

Quando le eventuali decisioni arriveranno, la campagna elettorale sarà di fatto alle spalle. Una situazione che ha provocato tensione anche all’interno dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in cui la commissaria, Elisa Giomi, ha votato contro (è stata l’unica) la decisione di sanzionare il conduttore del programma di Rai 3.

«Non si è tenuto conto del fatto che il conduttore nel corso della stessa puntata ha preso ripetutamente le distanze dalle affermazioni del suo ospite», è stato il ragionamento di Giomi, che però non ha convinto gli altri colleghi, compreso l’ex deputato del Pd, Antonello Giacomelli.

Doppiopesismo Agcom

French philosopher, writer and director Bernard-Henri Levy arrives to attend a ceremony for late French journalist and intellectual Jean Daniel at the Hotel des Invalides in Paris, France, Friday, Feb. 28, 2020. (Christian Hartmann/Pool via AP)

Nel documento, pubblicato dall’Agcom mercoledì 21 settembre, emergono le due velocità dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

A Damilano è stato chiesto di trasmettere un messaggio a inizio puntata per affermare che «non sono stati rispettati i principi di pluralismo, obiettività, completezza, correttezza, lealtà ed imparzialità dell’informazione» nella serata in cui era l’ospite ha detto «non bisogna sempre rispettare l'elettorato. Quando gli elettori portano al potere Mussolini, Hitler o Putin, la loro scelta non è rispettabile».

Trattamento molto più comprensivo, invece, nei confronti delle emittenti che arrivano a pochi giorni dal voto senza essersi ravvedute. Il consiglio dell’organismo ha solo conferito «mandato agli uffici di avviare i procedimenti sanzionatori al fine di accertare la condotta delle testate editoriali».

I numeri dell’ultimo dossier dell’Agcom, che prende come riferimento la settimana dall’11 al 17 settembre, rappresentano però la conferma di una par condicio tuttora violata. Un esempio?

L’esposto dell’alleanza Sinistra-Verdi è finito nel nulla, gli spazi riservati alla lista sono ancora minimi. Nelle principali edizioni del Tg1, quella delle ore 13.30 e delle 20, il dato si attesta all’1,8 per cento del tempo di parola, quello in cui c’è un esponente che parla senza intermediazione.

Stessa cifra per il tempo di notizia, che invece racconta quanto fatto da quell’alleanza, e scende addirittura sotto l’1 per cento per il Tg2.

Fin qui le statistiche su chi ha già manifestato il proprio dissenso ai vertici dell’Autorità. Ci sono poi i partiti di centrodestra non hanno di che lamentarsi, nonostante le lamentele sulla lesione della par condicio di Damilano. Per Fratelli d’Italia, nel telegiornale della rete ammiraglia, il tempo di notizia è al 17,1 per cento nelle edizioni più seguite. E sale fino 18,9 del Tg2 e al 19,9 per cento del Tg3 con una media del 18,8 per cento.

La visibilità del partito di Giorgia Meloni supera anche il Movimento Cinque Stelle, che raggiunge il 17,9 per cento, pur essendo comunque la prima forza politica del Parlamento uscente.

Ai numeri di Fratelli d’Italia, bisogna aggiungere i dati della Lega che arriva al 14,3 per cento al Tg1 e che, insieme agli altri telegiornali, si colloca su una media del 12,3, mentre Forza Italia è all’8,4 per cento e i Noi Moderati all’1. Alla coalizione va più del 40 per cento della spazio di informazione del servizio pubblico, peraltro in linea con le cifre degli ultimi sondaggi.

Mediaset a tutta destra

In materia di par condicio, i riflettori andrebbero puntati su Mediaset, visto che i tg spesso si trasformano in una specie di monologo per il centrodestra: il tempo di parola complessivo dei tre partiti della coalizione è superiore al 52 per cento, quello di notizia si avvicina al 47,5 per cento.

Un dominio incontrastato con Forza Italia che occupa dal 17 al 18,6 per cento degli spazi, dopo che per settimane ha superato il 30 e talvolta anche il 40 per cento della visibilità sulle reti dell’azienda di Cologno Monzese.

Numeri che sovrastano le parole di Levy da Damilano, prontamente sottoposte a sanzione. «Questa campagna elettorale registra il più grande fallimento mai visto dell’Agcom nella tutela del pluralismo», dice Michele Anzaldi, deputato uscente di Italia viva, non ricandidato.

«Da settimane», osserva il parlamentare «chiede riequilibri a tutti i tg, indiscriminatamente, senza peraltro chiarire bene chi abbia sbagliato e su cosa. Ma da settimane non cambia nulla».

Anzaldi sintetizza così la situazione: «Gli ordini dell’Agcom alle emittenti sono stati disattesi e ormai la campagna è finita». E sul punto è intervenuto anche il Pd, con una nota, annunciando «ogni azione utile per la valutazione complessiva della possibile disparità di trattamento, in questa competizione elettorale» e l’impegno di una riforma.

Polemiche interne

Ma già nei giorni scorsi ci sono state sortite che hanno alimentato polemiche e sospetti. In particolare l’Agcom ha replicato, con un comunicatom alle dichiarazioni del segretario del Pd, Enrico Letta, che aveva lamentato la lentezza sulle sanzioni alle emittenti che non rispettano la par condicio. L’organismo, presieduto da Giacomo Lasorella, aveva espresso «stupore per le dichiarazioni di un leader politico che contesta la parzialità dell'Autorità durante la campagna elettorale». Parole che non hanno convinto Giomi: «Chi arbitra la par condicio non può permettersi sospetti di faziosità».

Al netto delle schermaglie di campagna elettorale, che il presidente dell’Autorità sia ben visto da Meloni è noto.

Appena a un anno fa, il deputato di Fdi, Federico Mollicone, manifestava apprezzamento verso il numero uno dell’Agcom per una relazione che confermava «sensibilità verso i temi della sovranità digitale» e anche «del riequilibrio del valore dei contenuti creativi e sull’antipirateria».

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