Chi rifiuta di farsi vaccinare dice: «Io questo vaccino non lo faccio perché è sperimentale, è stato sperimentato per un tempo troppo breve, e non si può sapere se dà effetti avversi a lungo termine». Ma quelli contro il Covid-19 sono vaccini modernissimi che non potranno mai dare effetti a lungo termine. Vi spiego perché.

Gli scienziati hanno sviluppato diversi tipi di vaccino anti Covid, ma quelli più largamente utilizzati sono due. Ci sono i vaccini a vettore virale, costituiti da un virus innocuo per l’uomo – come l’adenovirus che provoca il raffreddore nello scimpanzé – modificato geneticamente e “inattivato”, cioè reso incapace di replicarsi, ma che esprime sulla sua superficie la proteina Spike del coronavirus (come AstraZeneca); e ci sono vaccini a Rna, costituiti da goccioline di lipidi che contengono l’Rna che codifica la proteina Spike del coronavirus e induce le nostre cellule a produrla (come Pfizer e Moderna).

Non sono sperimentali

Innanzitutto, questi non sono vaccini sperimentali. Gli scienziati prima li hanno testati su cellule in coltura, poi su animali, e infine hanno dato l’inizio alla sperimentazione clinica nell’uomo, che serve a capire se il vaccino ci protegge ed è sicuro, e che viene suddivisa in tre fasi: uno, due e tre.

In queste fasi, il vaccino viene testato su un numero via via crescente di individui: decine nella uno, centinaia nella due, migliaia nella tre. Se nelle fasi uno e due il vaccino si dimostra protettivo e sicuro, si procede con la fase tre.

Tutti i vaccini attualmente utilizzati hanno superato queste tre fasi, e perciò la loro sperimentazione è conclusa. Per esempio, nella fase tre gli scienziati della Pfizer hanno arruolato 43.661 individui residenti negli Usa, poi, a metà dei soggetti, circa 21.830, hanno inoculato il vaccino – il gruppo vaccino –, e all’altra metà, circa 21.830, hanno inoculato un placebo, cioè acqua distillata con dentro nulla – il gruppo placebo. Lo studio è stato fatto in doppio cieco, ovverosia lo scienziato (il primo cieco) non sapeva se stesse inoculando al soggetto vaccino o placebo, e neanche il soggetto (il secondo cieco) sapeva cosa gli venisse inoculato, per evitare interferenze.

La fine della sperimentazione

La sperimentazione è iniziata Il 27 luglio 2020. Quel giorno gli studiosi hanno iniziato a inoculare il vaccino o il placebo ai volontari. E si è conclusa il 14 novembre 2020, giorno in cui si è infettato il 170esimo dei volontari coinvolti nell’esperimento. Gli scienziati osservarono che nel gruppo placebo si erano ammalati 162 individui, di cui 8 in maniera gravissima; nel gruppo vaccino se n’erano ammalati solo 8, tutti lievi.

Calcolarono che il vaccino aveva un’efficacia del 95 per cento, ovvero che riduceva del 95 per cento il rischio di contrarre la malattia: un risultato prodigioso. Inoltre, notarono che nessuno di quelli che aveva ricevuto il vaccino aveva mostrato effetti collaterali gravi, durante quei 4 mesi. Con ciò, la sperimentazione è terminata, perché si è dimostrato che il vaccino è sicuro ed efficace, e l’Fda, sulla base di questi dati, ne ha autorizzato l’uso emergenziale. Con gli altri vaccini è andata allo stesso modo.

Direte voi: ma quattro mesi sono un tempo troppo breve per osservare effetti a lungo termine, ma io vi dico che no, non lo sono affatto. Per due motivi.

Il motivo etico

Il primo motivo è etico, e anche di buon senso. Ricordatevi che la sperimentazione del vaccino Pfizer, e anche quelle sugli altri vaccini, sono state condotte in doppio cieco, ovverosia c’erano migliaia di individui che non sapevano se avessero ricevuto un vaccino oppure un placebo, ma che a quel tempo si era in piena pandemia, con gente che moriva ogni giorno.

A fine novembre gli scienziati sapevano già che il loro vaccino era efficacissimo nel proteggere dalla malattia e dalla morte e non dava effetti collaterali a breve e medio termine: voi avreste aspettato un altro anno o due per vedere se c’erano effetti avversi a lungo termine prima di vaccinare anche quei poveretti che avevano ricevuto il placebo e che stavano ammalandosi di Covid uno dopo l’altro?

Ovviamente no: il dovere degli scienziati era di fermare la sperimentazione, che aveva fornito risultati certi, e di inoculare col vaccino il prima possibile anche a coloro che avevano ricevuto il placebo.

Una leggenda infondata

E poi, la storia che un vaccino possa dare effetti avversi dopo uno o due anni è totalmente infondata. Questa fobia nasce probabilmente dall’infame storia di Andrew Wakefield.

Wakefield era un oscuro medico britannico che nel 1998 pubblicò sulla prestigiosa rivista Lancet un articolo nel quale, basandosi sull’osservazione di soli 12 pazienti, sosteneva che il vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia poteva provocare a lungo termine nei bambini gravi disturbi dello sviluppo mentale e autismo.

Si scoprì ben presto che quell’articolo era una frode colossale e che Wakefield aveva manipolato i dati inventandoli di sana pianta, perciò lui fu espulso dall’Ordine dei medici, e la rivista fu costretta a ritrarre l’articolo: ma la fobia è rimasta.

I vecchi vaccini

Forse il timore di effetti a lungo termine poteva essere giustificato con i vaccini antiquati.

Prima, per vaccinare un essere umano contro un virus gli si inoculava un virus “attenuato”, cioè vivo, quasi identico a quello selvaggio “cattivo” che provocava la malattia, ma indebolito: l’immunità contro questo virus indebolito proteggeva anche da quello cattivo.

Però, alcuni di questi virus “buoni” potevano retro-mutare ridiventando “cattivi”, e in quel caso scatenavano una malattia grave, come accadeva talvolta con il vaccino antipolio Sabin, a virus attenuato, che talvolta, mesi dopo, poteva causare la poliomiemite in chi lo riceveva. Alcuni vaccini odierni, come quello contro il morbillo, contengono ancora virus attenuati, però, per questo motivo, non se ne sviluppano più.

AstraZeneca

Oggi gli scienziati preferiscono produrre vaccini a virus “inattivato”, che cioè contengono virus identici a quello selvaggio ma incapaci di replicarsi e di mutare, e perciò di dare la malattia: il vaccino antipolio Salk contiene virus inattivato. Anche il vaccino AstraZeneca contiene un adenovirus innocuo per l’uomo e per di più inattivato, che cioè è incapace di replicarsi.

Quando ci vacciniamo, questo adenovirus modificato inietta il suo dna all’interno delle nostre cellule muscolari attorno al sito di inoculo, queste si mettono a produrre la proteina Spike del coronavirus che poi espongono sulla loro membrana: in questo modo il nostro sistema immunitario impara a reagire contro la proteina Spike del coronavirus.

Ma nel giro di poche ore le nostre cellule immunitarie uccidono e fagocitano anche ogni copia dell’adenovirus del vaccino, del quale non resta più traccia all’interno del nostro corpo. Perciò il vaccino AstraZeneca può dare effetti collaterali ma solo a breve termine, come malauguratamente si è visto: in rarissimi casi il vaccino può scatenare, specie nelle donne, una trombosi seria ma curabile, che però si manifesta al massimo entro 12 giorni dall’inoculazione della prima dose.

Pfizer e Moderna

Restano i vaccini a mRNA, dove m sta per messaggero, come Pfizer e Moderna: neanche questi possono dare effetti a lungo termine. Difatti, le goccioline del vaccino iniettano l’Rna con l’istruzione per la proteina Spike del coronavirus all’interno delle nostre cellule muscolari nel sito di inoculo, e queste si mettono a produrre la proteina Spike che poi espongono sulla loro membrana, così il nostro sistema immunitario impara a reagire contro di essa.

Ma l’Rna del vaccino ha vita breve. Nelle nostre cellule, molecole di mRna vengono continuamente generate sullo stampo del Dna dei nostri geni, migrano nel citoplasma – da cui il nome messaggero –, e qui vengono tradotte in proteine, ma vengono subito degradate da speciali enzimi perché sennò la cellula esploderebbe.

L’Rna del vaccino è stato ulteriormente modificato (contiene un nucleotide chiamato pseudouridina al posto dell’uracile) per cui la sua degradazione è ancora più veloce. Passano pochi minuti, e dell’RNA del vaccino non resta più traccia.

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