La loro pericolosità è riconosciuta dalla scienza, ma niente viene fatto per limitarne la dispersione nell’ambiente. Greenpeace ha realizzato un’indagine prelevando l’acqua dalle fontane pubbliche di tutta Italia e ha riscontrato le molecole inquinanti nel 79% delle volte
I Pfas sono definiti come il nuovo amianto. È stato Philippe Grandjean, uno dei massimi esperti mondiali di queste molecole, a paragonare i cosiddetti “inquinanti eterni” all’amianto. Per fare una panoramica della situazione italiana, Greenpeace Italia ha presentato la prima mappa della contaminazione da Pfas delle acque potabili. Quello che emerge è un inquinamento diffuso. Nell’ambito della campagna “Acque senza veleni”, tra settembre e ottobre 2024, l’associazione ambientalista ha prelevato 260 campioni in 235 comuni italiani, perlopiù da fontane pubbliche, che sono stati poi analizzati da un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei Pfas (che conta circa 10mila molecole).
I Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) – un ampio gruppo di sostanza chimiche di sintesi – sono usati in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo per via delle loro proprietà idro e oleorepellenti, ma una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente. Questo porta a un grave inquinamento che può contaminare l’acqua potabile, l’aria, le coltivazioni e persino il corpo umano, poiché hanno la capacità di bioaccumulo.
Le conseguenze sulla salute sono preoccupanti. I Pfas sono interferenti endocrini e sono associati sia ad alcune forme tumorali come il cancro ai reni e ai testicoli, sia a problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, riduzione del peso alla nascita dei neonati, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo, riduzione della risposta immunitaria ai vaccini, diabete gestazionale e impatti negativi sulla fertilità.
I risultati dell’indagine dell’associazione ambientalista mostrano la presenza di questi composti inquinanti negli acquedotti, con almeno tre campioni positivi per ogni regione eccezion fatta per la Valle d’Aosta in cui sono stati prelevati solo due campioni (entrambi contaminati). In 206 dei 260 campioni, pari al 79 per cento del totale, è stata registrata la presenza di almeno una sostanza riconducibile al gruppo dei Pfas. In 54 campioni (21 per cento), non è stata registrata la presenza di alcun Pfas. Il cancerogeno Pfoa è risultato il Pfas più diffuso, presente in 121 campioni su 260 (47 per cento), seguito dal composto a catena ultracorta Tfa (in 104 campioni, il 40 per cento del totale) e dal Pfos (presente in 58 campioni, il 22 per cento del totale) classificato come possibile cancerogeno dall’Agenzia delle nazioni unite per la ricerca sul cancro, nonostante sia bandito a livello globale dalla convenzione di Stoccolma.
Mappa dei veleni
«Troviamo criticità in varie zone. Pensiamo ad esempio a numerosi comuni della Sardegna tra cui Olbia. Elevati livelli di contaminazione sono emersi anche in Umbria a Perugia, in Toscana ad Arezzo e Lucca per non parlare poi di tantissimi comuni del Veneto e parte del Piemonte incluso il capoluogo e un comune della Val di Susa che registra anche il valore record per la contaminazione di Pfoa in Italia e soprattutto poi Milano dove numerosi campioni sono positivi e sono tra quelli con le maggiori concentrazioni», spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia.
Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8 campioni contaminati su 8 analizzati), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono: Abruzzo (3/8), seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13). Salta all’occhio come i valori peggiori si registrano in quasi tutte le regioni del centro-nord e in Sardegna. «Il sud Italia sembra essere meno intaccato da questa contaminazione, ma non è immune. Sembra esserci una correlazione – continua Ungherese – della contaminazione con il grado di industrializzazione del paese, un gradiente che cresce da sud verso nord».
Considerando il parametro di legge “Somma di PFAS”, ovvero la somma di 24 molecole il cui valore, a partire dal gennaio 2026, non dovrà superare 100 nanogrammi per litro, i comuni con le concentrazioni più elevate sono risultati Arezzo, Milano e Perugia.
Nel dettaglio, elevati livelli Pfas si registrano in Lombardia, ad esempio in molti dei campioni prelevati a Milano, così come quelle di numerosi comuni del Piemonte (Torino, Novara, alcuni comuni dell’alessandrino, ma anche Bussoleno in Valle di Susa), del Veneto (comuni fuori dall’area rossa – zona nota da anni per essere tra le più contaminate d’Europa – come Arzignano, Vicenza, Padova e Rovigo), dell’Emilia-Romagna (Ferrara, Comacchio, Reggio Emilia), della Liguria (Genova, Rapallo, Imperia), della Toscana (Arezzo, Lucca, Prato), della Sardegna (Olbia, Sassari e Cagliari) e Perugia in Umbria.
«Il quadro che emerge da questa indagine è tutt’altro che rassicurante: milioni di italiane e italiane sono esposti attraverso l’acqua potabile a sostanze chimiche pericolose e bioaccumulabili, note per essere interferenti endocrini e causare l’insorgenza di gravi patologie, tra cui alcune forme tumorali. Sono pochi i territori italiani non intaccati dalla contaminazione», commenta Ungherese.
Regolamentazione
«Siamo indietro rispetto a tante nazioni europee che nel recepire la direttiva europea sulle acque potabili hanno introdotto limiti più cautelativi per la salute umana e in linea con la scienza», dice Ungherese. Ad oggi, in Italia, non esistono regolamentazioni specifiche sui Pfas nelle acque potabili. Tuttavia, a partire dall’inizio del 2026, entrerà in vigore la direttiva europea 2020/2184, che stabilisce limiti normativi. Questi parametri, però, risultano superati. Alcuni paesi europei, tra cui Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre, oltre agli Stati Uniti, hanno già adottato limiti più restrittivi. Di conseguenza, «tanti campioni che abbiamo analizzato in Italia potrebbero essere catalogati come non sicuri per la salute umana», fa notare Ungherese.
Di fronte a questo scenario, da una parte ci sono le numerose sollecitazioni e richieste della società civile e delle comunità impattate dalla contaminazione, dall’altra parte, però, la risposta del governo è assente: «ll nostro governo ha deciso di non occuparsi in alcun modo di questa contaminazione, nonostante il nostro paese sia teatro di alcuni dei più gravi casi di contaminazione da Pfas dell’intero continente europeo», precisa il responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace. Finora non si registrano interventi per arginare una contaminazione la cui portata è sempre più vasta. L’Italia non risulta nemmeno tra i Paesi, a livello comunitario, che hanno avanzato la proposta di mettere al bando l’uso e la produzione di tutti i Pfas.
«Non possiamo continuare a cullarci e portare avanti quello che noi chiamiamo politiche attive dell’inazione. È necessario vietare subito l’uso e la produzione di queste sostanze, mettere in sicurezza l’acqua potabile in tutti quei comuni dove emergono delle criticità. Parallelamente è fondamentale che alla popolazione sia garantita acqua priva di queste molecole», denuncia Ungherese. C’è l’urgenza di un intervento legislativo nazionale in materia di Pfas.
Una recente inchiesta internazionale, ha svelato che «ci sono delle lobby fortissime che provano a indebolire qualsiasi norma che vada a regolamentare queste molecole. Recentemente abbiamo visto alcuni casi anche in Italia: pensiamo ad esempio al dossier di Mario Draghi sul futuro dell’Europa. In quel corposo dossier compare un lungo pezzo dedicato a queste molecole intese come sostanze che se messe al bando potrebbero compromettere la competitività europea in futuro», dice Ungherese che fa notare anche come il sistematico tentativo di nobilitare queste sostanze è lo stesso di quello messo in atto negli scorsi decenni dall’industria del tabacco e dei combustibili fossili.
«I dati raccolti con la nostra mappatura ci fanno capire quanto sia necessario intervenire all’origine del problema. Oggi non ci sono ragioni per continuare a utilizzare queste sostanze perché nella stragrande maggioranza dei settori industriali esistono delle alternative. La politica deve schierarsi dalla parte della collettività e della salute pubblica e garantire processi industriali che non compromettano la salute nostra e quella del pianeta», dice Ungherese.
Cittadinanza attiva
Perché questa indagine? «Siamo stati tempestati da richieste di cittadine e cittadini che chiedevano dati sulla presenza di questi inquinanti nelle acque potabili. Purtroppo, oggi nel nostro Paese, salvo rare eccezioni, queste indagini non vengono eseguite, nonostante la comunità scientifica internazionale ci metta in guardia sulla pericolosità di queste molecole», dice Ungherese.
«Le persone – molto spesso vittime inconsapevoli di questa contaminazione – sono fondamentali per scardinare determinate logiche di potere. I cambiamenti che abbiamo ottenuto a livello globale si devono alla tenacia, alla perseveranza e al mettersi in gioco di tante persone: attivisti, attiviste, ma anche persone toccate dalla contaminazione».
Raccontando della fase di campionamento Ungherese parla del coinvolgimento delle comunità locali attraverso i comitati e il network del volontariato di Greenpeace. Il responsabile della campagna inquinamento parla anche delle serate di informazione fatte in giro per l’Italia su questi temi: «Le persone sono spaventate da questa contaminazione, vogliono saperne di più e vogliono avere certezze sul reale stato di inquinamento del territorio in cui vivono. Ci sono centinaia di persone che chiedono un cambiamento, che chiedono di essere tutelate e di poter avere riconosciuto un diritto fondamentale: accedere ad acqua pulita e a cibo non contaminato», conclude Ungherese.
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