Centoquarantuno anni di carcere per undici manager di Miteni. E piena assoluzione per altri quattro: erano accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. È questa la sentenza pronunciata giovedì 26 dalla Corte d’Assise di Vicenza nei confronti dei vertici dell’ex stabilimento chimico di Trissino, ritenuti responsabili di aver contaminato la falda sottostante l’azienda e l’acqua potabile di oltre 350.000 persone nei comuni di Vicenza, Verona e Padova con i Pfas, sostanze chimiche persistenti, alcune delle quali cancerogene.

Si tratta di una sentenza che apre la strada a nuovi processi sull’inquinamento causato da queste sostanze, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Una decisione che, inoltre, ha comportato un aumento delle pene rispetto alle richieste dei pubblici ministeri Roderich Blattern e Paolo Fietta. Le condanne più pesanti sono state inflitte ai dirigenti di Icig, la società lussemburghese che ha controllato lo stabilimento dal 2009 fino al fallimento (2018), e di Miteni, con pene fino a 17 anni.

I condannati sono Patrick Fritz Hendrik Schnitzer (Icig), 17 anni per avvelenamento doloso delle acque, disastro ambientale innominato e bancarotta per falso in bilancio; Achim Georg Hannes Riemann (Icig), anch’egli condannato a 17 anni per gli stessi capi d’accusa di Schnitzer; Brian Anthony Mc Glynn (Miteni), 17 anni e 6 mesi per avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato e bancarotta; Luigi Guarracino (Miteni), 17 anni per avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta. Condannati a 16 anni, per avvelenamento e disastro ambientale, anche i due dirigenti di Mitsubishi Corporation, Naoyuki Kimura e Yuji Suetsune, che hanno gestito Miteni fino al 2009, nonché un altro dirigente tedesco, Alexander Nicolaas Smit (Miteni) sempre 16 anni per avvelenamento, disastro ambientale e bancarotta.

Molte le accuse mosse dalla Procura di Vicenza. La principale riguarda l’avvelenamento aggravato delle acque in concorso, poiché – secondo l’ipotesi accusatoria – i dirigenti «concorrevano a cagionare l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana», in particolare della falda acquifera sotto l’area industriale e delle «acque superficiali circostanti, comunque destinate al consumo». Alla Miteni, in qualità di responsabile civile (ossia chiamata a risarcire se riconosciuta colpevole), viene contestato il mancato adempimento all’adozione di un modello organizzativo idoneo a prevenire l’inquinamento.

Tra le pene più alte, 17 anni, quella inflitta a Luigi Guarracino, direttore operativo dello stabilimento veneto dal 2009 al 2012 e poi amministratore delegato fino al 2015. Stessa condanna per Brian Anthony Mc Glynn, ex dirigente di Ausimont (già direttore dello stabilimento chimico di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria), successivamente passato a Miteni.

L’impatto della sentenza

«Si tratta di una sentenza storica», commenta Michela Piccoli del Movimento Mamme No Pfas. «Tante persone mi dicevano: “Perché lottare? Perché insistere tanto? Tanto non li condanneranno mai”. E invece li hanno condannati. Per questo motivo, ora penso che tutte le fatiche affrontate in questi anni non solo siano state ripagate, ma abbiano finalmente trovato un senso, non solo per noi, ma per tutta Europa».

Ma non è tutto. Secondo Giampaolo Zanni della Cgil di Vicenza, questa sentenza potrebbe riaprire tutti i contenziosi legati alla salute dei lavoratori. Solo un mese fa, una sentenza ha riconosciuto come malattia professionale la patologia di un ex operaio di Miteni, causata dal lavoro svolto in azienda. In questo senso, se il riconoscimento del disastro ambientale ha sancito il principio secondo cui «chi inquina paga», è necessario riaffermare anche il diritto a lavorare in sicurezza. In Miteni, infatti, non si è operato nel rispetto delle necessarie precauzioni, come dimostrano i livelli di Pfas ancora presenti nel sangue degli ex lavoratori. È dunque fondamentale riaprire le indagini per accertare le responsabilità di chi ha consentito l’esposizione a tali composti.

«È un segnale molto importante, soprattutto per chi inquina: da oggi, infatti, c’è la certezza che si possa essere condannati», afferma Alberto Peruffo di Pfas.land. «Ma ci sono ancora molti passi da compiere. Il primo fra tutti: la bonifica. A dodici anni dall’emergenza Pfas e a quasi sette dalla chiusura della fabbrica Miteni, manca ancora un progetto di bonifica».

«La dirigenza dell’autorità ambientale veneta Arpav si è addirittura rifiutata di partecipare, lo scorso 8 aprile 2025, a un incontro di aggiornamento sulla questione Pfas, nonostante l’invito del sindaco di Castelgomberto», continua Peruffo. Il tutto mentre il Comune di Trissino ha già speso – e continua a spendere – migliaia di euro sia per la gestione burocratica e giuridica della questione Miteni, sia per gli interventi sulla barriera idraulica, installata per evitare la fuoriuscita di inquinanti, nonché per il pompaggio e il filtraggio dei Pfas.

Tuttavia, queste spese non potranno essere sostenute all’infinito. Forse aiuterà il risarcimento milionario – 58 milioni di euro – previsto dalla sentenza a favore del ministero dell’Ambiente. Ma allo stesso tempo, la tanto auspicata «bonifica integrale» del sito richiederà ingenti investimenti e tempo.

«Oltre al fatto che è giusto e legittimo pretendere il risarcimento dei danni e la copertura dei costi di bonifica da parte dei responsabili diretti», conclude Peruffo, «resta l’assurdità che un presidente di Regione sia riuscito, in pochi mesi, a far stanziare al ministero 120 milioni di euro per opere non prioritarie né necessarie per la salute dei territori – come quelle previste per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 – mentre lo stato di inquinamento continua ad avanzare».

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