Per la prima volta non solo in Italia ma nel mondo, un tribunale, quello di Vicenza, ha riconosciuto il nesso causale tra l’esposizione ai Pfas e un tumore contratto sul luogo di lavoro da un operaio. Gli eredi di Pasqualino Zenere, ex operaio del polo chimico Miteni di Trissino, riceveranno una rendita dall’Inail per la malattia professionale che ha provocato il suo decesso nel 2014.

La sentenza, depositata il 14 maggio dalla giudice Caterina Neri, rappresenta un precedente importante nel contenzioso ambientale e lavorativo legato all’esposizione ai Pfas, composti chimici altamente inquinanti e persistenti nell’ambiente. La cui pericolosità, nonostante le crescenti evidenze, fatica a imporsi. Nonostante infatti alcune delle storiche varianti di questi composti chimici siano state prima vietate e poi riconosciute cancerogene, come il Pfoa a cui fu esposto Zenere, le società produttrici continuano a brevettare varianti sempre nuove i cui rischi sulla salute sono sconosciuti.

La vicenda

Zenere, assunto nel 1978 nel reparto depurazione della Miteni, ha lavorato fino al 1992 in prossimità del reparto di produzione dei Pfas. Pur non essendo direttamente coinvolto nella loro fabbricazione, è stato esposto alle sostanze attraverso l’aria contaminata da polveri e fumi industriali. Le testimonianze raccolte durante il processo hanno confermato che le emissioni erano ingenti e i protocolli di sicurezza inadeguati. Gli operai lavoravano senza protezioni efficaci, mentre le operazioni di pulizia degli impianti avvenivano in presenza del personale, esponendolo ulteriormente.

Nel 2010 a Zenere venne diagnosticato un carcinoma uroteliale. Nonostante l’intervento chirurgico, la malattia progredì rapidamente, e nel 2013 comparvero metastasi ai polmoni. L'anno successivo, a 76 anni, Zenere morì. Contemporaneamente, come emerso dall'inchiesta Forever Lobbying Project, la dirigenza Miteni era già al corrente delle preoccupanti concentrazioni di Pfoa nel sangue dei lavoratori. Le ricerche del medico aziendale Giovanni Costa avevano infatti rivelato che il Pfoa interferisce con il sistema endocrino, provocando alterazioni ormonali. Nel 2013, quando la recidiva del carcinoma di Zenere fu diagnosticata, il Pfoa venne finalmente vietato per i suoi gravi rischi sanitari. Tuttavia, Miteni, anziché interrompere la produzione di Pfas, iniziò a lavorare sul suo sostituto, il C6O4 brevettato dalla Syensqo (ex Solvay), senza aver ottenuto le necessarie autorizzazioni ambientali.

Per anni la famiglia ha combattuto per il riconoscimento del nesso tra la malattia e l’ambiente lavorativo. La giudice infatti ha riconosciuto «con elevato grado di probabilità» la correlazione tra l’attività svolta in Miteni e l’insorgenza del tumore. È un precedente unico, nemmeno negli Stati Uniti – dove l’avvocato Robert Bilott ha smascherato la contaminazione provocata dai Pfas – si era arrivati a un riconoscimento simile per via giudiziaria in sede civile.

Un precedente per i risarcimenti

La sentenza avrà un grande impatto sul piano ambientale e sanitario, perché riguarda centinaia di ex dipendenti e migliaia di cittadini. Secondo i legali e i medici di parte, la contaminazione di Pfas di Miteni avrebbero provocato «il più grave avvelenamento da Pfas mai registrato al mondo», con concentrazioni nel sangue di oltre 90.000 nanogrammi per millilitro, a fronte di una media normale di 2-3. Ma non solo, la sentenza impatterà anche sul piano previdenziale.

La richiesta di rendita per malattia professionale presentata dai familiari di Zenere era stata inizialmente respinta dall’Inail. Tuttavia, il tribunale civile ha ribaltato la decisione. Si tratta di una sentenza storica, come l’ha definita Inca Cgil, perché può aprire la strada a numerose altre richieste di risarcimento da parte di operai e cittadini che hanno subito per anni i danni da esposizione ai Pfas, un problema di vasta portata che interessa non solo tutta l’area del vicentino, ma anche quelle zone dove la produzione è ancora attiva, come in Piemonte.

Intanto a Vicenza è in corso il processo penale contro 15 ex manager di Miteni, accusati di disastro ambientale. L’accusa ha chiesto complessivamente 121 anni di carcere per 9 imputati. Miteni, chiusa nel 2018 dopo essere stata acquisita da un fondo lussemburghese, Icig, è ritenuta responsabile di un disastro che ha coinvolto oltre 300mila persone tra le province di Vicenza, Verona e Padova, contaminando le falde acquifere e rendendo necessaria la costruzione di nuovi acquedotti.

Il governo ha stanziato 80 milioni di euro per gli interventi, ma le concentrazioni residue restano un problema. La persistenza dei Pfas nell’ambiente è tale che sono stati definiti inquinanti eterni, essendo composti dal legame più forte della chimica organica, quella tra fluoro e carbonio, persistono in modo indefinito nell’ambiente. 

Il comitato delle “Mamme No Pfas”, che si batte da anni per la bonifica dell’area e per la tutela della salute pubblica, ha accolto con favore la sentenza, definendola un primo segnale di giustizia.

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