Non è come nella favola dove la Bella addormentata nel bosco baciata dal principe Azzurro si risveglia dall’interminabile sonno e si solleva sorridente e fresca come una rosa. Per la manutenzione dei ponti e viadotti delle strade italiane dopo anni e anni di letargo non interrotto neppure dal crollo del ponte Moranti di Genova, l’atteso bacio della rinascita non inaugura una stagione di ripresa all’insegna della sicurezza, ma ingenera piuttosto una grandissima confusione.

Con un decreto il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini comincia ad affrontare il problema dei monitoraggi, ma stanzia appena 450 milioni di euro a favore di Anas e di 26 concessionarie autostradali per avviare una campagna sulle «opere d’arte» stradali da attuare in un quinquennio.

Soldi che a giudizio di qualsiasi tecnico del ramo non bastano neanche per impostare l’operazione che oltretutto è concentrata su una parte esigua degli oltre 800mila chilometri di strade nazionali.

Soldi che appaiono inoltre di entità ridicola se messi a confronto di un altro stanziamento con le stesse finalità dichiarate: un miliardo di euro da spendere nello stesso lasso di tempo per i ponti e viadotti dei 293 chilometri della Strada dei parchi, cioè le autostrade A24 e A25 che collegano Roma a Teramo e Pescara date in concessione al gruppo abruzzese della famiglia Toto.

Passaggio di consegne

A rendere più confuso il quadro c’è anche il fatto che una volta constatata l’incapacità o la mancanza di volontà di molti comuni, province e regioni di tenere come si deve le strade di loro competenza e in particolare i ponti e viadotti che insistono su di esse, al ministero di Giovannini hanno volenterosamente provato a metterci una pezza che però rischia di essere peggiore del buco.

Hanno deciso di trasferire ad Anas e concessionarie autostradali la gestione di ponti e viadotti degli enti locali che intersecano le «strade di primo livello, autostrade e strade extraurbane principali».

L’obiettivo perseguito è quello di evitare che i sovrappassi cadano perfino sulle importanti strade sottostanti sommando tragedia a tragedia come è successo ad Annone in Brianza dove il 28 ottobre 2016 il viadotto provinciale è sprofondato sulle auto in transito sulla statale del lago di Como. Un morto e 4 feriti.

In pratica Anas e concessionarie autostradali vengono di fatto considerate dagli uffici ministeriali più affidabili di comuni, province e regioni quando si tratta di garantire la sicurezza dei manufatti. Ma al di là delle buone intenzioni l’operazione rischia di trasformarsi nell’ennesimo garbuglio all’italiana perché dovranno essere stipulate centinaia e centinaia di convenzioni ad hoc tra i singoli comuni, le province, regioni e città metropolitane da una parte e dall’altra l’Anas e le 27 concessionarie autostradali. Un percorso che tra aneliti federalisti e rivendicazioni locali condensa tutte le premesse per diventare un calvario.

Manca il censimento

Sullo sfondo si staglia una realtà ancora più confusa: nonostante sia ormai chiaro a tutti che quella dei ponti insicuri è un’emergenza nazionale, ancora non c’è un censimento ufficiale attendibile non solo delle «opere d’arte», ma dell’intera rete stradale.

Gli unici dati certi sono quelli relativi all’estensione delle autostrade e strade statali: le prime sommano 8.006 chilometri, le seconde 27.259, cioè 35.265 chilometri in tutto su un totale nazionale più grande di circa 24 volte.

Un anno fa Ansfisa, l’Agenzia per la sicurezza delle strade e delle ferrovie, ha stimato che la lunghezza delle strade di pertinenza di province, regioni e città metropolitane è di circa 136mila chilometri, mentre le strade dei quasi ottomila comuni sono lunghe 669mila chilometri.

In totale l’estensione di tutte le strade italiane, da quelle comunali minuscole all’Autostrada del sole, è di circa 840mila chilometri. Quanti ponti ci sono su questa lunga rete nazionale? Nessuno lo sa.

Per lo stato italiano e per l’Europa curare le strade e mettere al sicuro ponti e viadotti non è una priorità. I finanziamenti del Pnrr destinati alle infrastrutture, 25 miliardi di euro circa, vanno quasi per intero alle ferrovie, considerate un mezzo di trasporto ecologicamente valido.

I 450 milioni di euro per i monitoraggi dei ponti stanziati dal ministro Giovannini sono davvero poco cosa, gli stessi tecnici del ministero stimano che per avviare le ispezioni, piazzare gli strumenti dei monitoraggi per poi far partire i lavori per la messa in sicurezza di ponti e i viadotti ci vorrebbero almeno 20 miliardi di euro, cioè una cifra 44 volte superiore a quella stanziata.

Secondo il decreto ministeriale i 450 milioni di euro dovrebbero servire ad assicurare il censimento, la classificazione e la gestione dei rischi di dodicimila opere che però sono meno della metà dei circa 27mila ponti, viadotti delle autostrade e dell’Anas. Tra queste dodicimila infrastrutture dovranno essere poi scelte 6.500 opere dove sarà piazzata la strumentazione per il monitoraggio.

Il precedente di Autostrade per l’Italia aiuta a dare contorni ancora più precisi alla pochezza dell’operazione avviata dal ministro Giovannini. Dopo il crollo del ponte di Genova la società dei Benetton ha deciso di censire i rischi dei suoi ponti e viadotti e per ciascuno di essi ha speso diecimila euro a favore di società di ingegneria specializzate.

Per pagare le ispezioni preliminari dei dodicimila ponti e viadotti individuati dal decreto Giovannini lo stato italiano spenderà quindi circa 120 milioni di euro che sottratti ai 450 milioni del totale danno la cifra di 330 milioni di euro che dovrebbero servire per comprare, piazzare e gestire nel tempo gli strumenti per il monitoraggio.

Per ognuno dei 6.500 ponti individuati dal decreto ci sono in pratica 51.000 euro in 5 anni, pochissimi se si considera per esempio che il recente monitoraggio del viadotto Scannavino dell’Anas sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria è costato 300mila euro l’anno, mentre per il viadotto Fiumara di Tito sul raccordo Sicignano-Potenza la spesa è stata di 570mila euro.

Pioggia di soldi

La cifra stanziata dal governo per ognuna delle 133 opere delle autostrade del gruppo Toto è invece di 7 milioni e cinquecentomila euro, decine e decine volte superiore a quella media accordata ai ponti Anas e degli altri concessionari autostradali.

I viadotti della A24 e A25 versano in realtà in pessime condizioni, sono diventati pericolosi e avrebbero bisogno di lavori di ripristino immediati, ma neanche gli amministratori della società autostradale sanno spiegare come potranno essere spesi tutti quei soldi stanziati dal governo per i monitoraggi.

Al momento è stato presentato un primo bando di gara per un importo di 220 milioni di euro che dovrebbero servire per «la progettazione esecutiva e la realizzazione dei sistemi smart road e monitoraggio dinamico sulle autostrade A24 e A25».

Il bando è stato preparato da Maurizio Gentile, il manager che dopo aver lasciato Rfi, la società della rete ferroviaria del gruppo Fs, un anno fa era diventato il terzo commissario straordinario per le autostrade del gruppo Toto nominato dalla ministra Paola De Micheli (Pd) e piazzato accanto al commissario per il tunnel del Gran Sasso e a quello nominato dal Consiglio di stato con una sentenza che aveva messo in mora l’operato del ministro dei Trasporti per la mancata approvazione del Pef, il piano finanziario per le autostrade dei Toto.

Per la stesura del bando Gentile si è avvalso del supporto tecnico amministrativo di una società che conosce bene, Italferr, anch’essa del gruppo Fs. Secondo autorevoli indiscrezioni, però, una parte del miliardo per le autostrade dei Toto in realtà non sarà spesa per i viadotti della A24 e A25, ma servirà per altro.

Probabilmente sarà usata per la realizzazione di un centro nazionale di raccolta ed elaborazione di quei dati provenienti proprio dai futuri monitoraggi dei ponti e viadotti delle strade statali e delle altre autostrade. Dopo la pubblicazione del bando, a metà dicembre Gentile si è dimesso.

© Riproduzione riservata