Lo avevano annunciato e lo hanno fatto. All’arrivo a Messina di Pietro Ciucci, amministratore delegato della società incaricata di costruire il ponte sullo Stretto, gli attivisti dei diversi comitati contrari alla grande opera non sono rimasti in silenzio. Una protesta che nessuno è riuscito a placare e che ha interrotto, di fatto, l’audizione dell’ad della Stretto di Messina spa a Palazzo Zanca. I membri dei comitati “No ponte” hanno fatto irruzione nell’aula comunale e, visti i tafferugli, è stato il consigliere Pippo Trischitta, presidente della commissione sul ponte, a dichiarare la seduta ufficialmente sospesa. «Ho parlato con gli ospiti della nostra commissione e con le forze dell’ordine e si è deciso di procedere allo sgombero dell’aula e alla sospensione della seduta», ha affermato Trischitta tra urla e fischi generali. «Sappiamo benissimo che il piano espropri è in questo momento il tema più importante e delicato a cui dobbiamo dedicare il massimo dell'attenzione», ha commentato, alla fine, Ciucci dopo essere stato contestato.

«Buffone», «No al ponte sullo Stretto», «Giù le mani dalle nostre case», gli slogan invocati dai manifestanti, i quali hanno appunto impedito a Pietro Ciucci, che martedì 19 sarà a Villa San Giovanni, di presentare il progetto definitivo del ponte. «Ciucci te lo abbiamo promesso – hanno scritto sui social i “No ponte” – non ti permetteremo di fare profitti sulle nostre teste». Già nei giorni scorsi sia Messina sia Villa erano inoltre state scenario delle rispettive assemblee pubbliche in cui la cittadinanza aveva manifestato preoccupazioni e timori in vista dell’infrastruttura fortemente voluta dal ministro dei Trasporti e leader leghista Matteo Salvini. «Ci siamo riuniti in cinquecento lo scorso sabato – hanno detto gli attivisti messinesi – per parlare di come impedire la cantierizzazione della città e di come muoverci legalmente per fermare lo scempio del ponte sullo Stretto. Mentre ingegneri, senatori, ministri e sedicenti esperti discutono fra di loro del destino della città – hanno continuato – centinaia e centinaia di residenti sotto esproprio sono stanchi di progetti campati per aria». Analoghe le preoccupazioni dei cittadini calabresi che si sono riuniti domenica: «Vogliamo difendere e tutelare il nostro territorio».

Dalla pizzeria al cimitero

Sempre nel corso delle due assemblee, i partecipanti avevano avuto modo di confrontarsi sul progetto, la cui documentazione – comprensiva delle planimetrie degli espropri – è disponibile per la consultazione pubblica sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (il termine per proporre osservazioni è, in questo caso, di trenta giorni). Dalle liste in possesso a questo giornale, relative alle famiglie e agli enti che verranno espropriati nel caso in cui il progetto ponte diventasse esecutivo, emerge comunque un dato chiaro: nulla cambierà rispetto al 2011. A parte, come abbiamo scritto, l’ampliamento dei metri quadrati da espropriare in alcuni casi.

Abitazioni di tipo popolare oppure civile, case in costruzione, laboratori artistici, alberghi e pensioni, ma anche immobili di proprietà di enti pubblici o di congregazioni religiose, lastrici solari, stazioni di servizio, terreni addirittura appartenenti all’Istituto delle suore Cappuccine del Sacro Cuore che hanno sede a Roma. Scorrendo gli elenchi riguardante il solo lato siciliano, ci si rende conto che a venire espropriati saranno immobili con destinazioni d’uso di vario tipo. Nei giorni scorsi gli attivisti del comitato “No ponte” denunciavano il fatto che «la pizzeria Gitano’s a Messina ma anche macellerie, bar e varie attività» rientrassero nelle liste. Persino il cimitero Granatari, a Torre Faro, se non verrà espropriato di due cappelle così come si prevedeva inizialmente nel progetto di dieci anni fa, subirà comunque le conseguenze del ponte. Il blocco di ancoraggio dell’infrastruttura, infatti, sarà posto nelle sue vicinanze. Da qui l’impossibilità di attraversarlo. «Per visitare i nostri cari – hanno detto i cittadini messinesi – ci caleremo dall’alto». Gino Storniolo, esponente di uno dei comitati che si oppone alla costruzione del ponte, è grave: «Mio padre è sepolto proprio in quel cimitero. Nessuno vuole il ponte, anche quelli che prima erano favorevoli adesso non lo sono più».

A Villa San Giovanni, invece, il blocco in questione – quello appunto di ancoraggio del ponte – è previsto, come nel 2011, in corrispondenza dell’unico sito archeologico di Villa San Giovanni, Forte Beleno, dove tra l’altro grava un investimento di un milione e mezzo di fondi Pnrr per la relativa riqualificazione. Anche qui oltre alle abitazioni dei privati non rimarrà esente dagli espropri la Chiesa del Rosario, sebbene, studiando le mappe catastali, sarà “solo” un piccolo pezzo di terra a venirle portato via.

«Il ponte non è la priorità»

E un’idea sul ponte, a causa del quale ne risentiranno direttamente o indirettamente il cimitero di Granatari e la Chiesa di Villa, ce l’ha anche monsignor Francesco Savino, vicepresidente per l’Italia meridionale della Cei. Il fatto che luoghi sacri non vengano “protetti” sembra contrastare con «l’esibizionismo religioso di Salvini».

«Con questo — ha detto a Domani monsignor Savino — non giudico la fede del ministro ma dico solo che il mio vivere la spiritualità non mi ha mai portato a esibire simboli religiosi e che, pur non volendo entrare a gamba tesa in questioni politiche, se non si potrà più attraversare un cimitero verrà calpestata la sensibilità della gente. Questo ponte è davvero la priorità del Paese?». Per il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, che ha già preso una posizione netta contro il progetto di autonomia differenziata, «le priorità sono altre». «Ad esempio — ha detto ancora monsignor Savino — creare lavoro. Il ponte non è lavoro, anzi chiediamoci se c’è il rischio che molto denaro in ballo venga intercettato dai poteri malavitosi. L’Italia dovrebbe pensare alle politiche sociali, ad abbattere le disuguaglianze e ad eliminare l’assistenzialismo. Eppure stiamo investendo in armi e sul ponte — ha proseguito —, mentre dalla legge di bilancio sono stati eliminati 400 milioni per la disabilità».
Anche in questo caso tante, troppe domande. «Ma non sono retorici i miei interrogativi, io vorrei che sulle cose ci fosse trasparenza — ha concluso Savino — e invece è sempre tutto calato dall’alto. Questo ponte invece che unire divide e creerà sempre più conflittualità in un contesto, che appare, visti i manganelli, sempre più avvelenato».

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