Non sottraggono soltanto le opportunità. Le aree del paese più fragili – come le periferie e le zone in cui i servizi per il cittadino sono pochi – privano gli adolescenti anche della fiducia nei confronti del futuro e nei confronti dell’altro, già scarsa tra i giovani che vivono in Italia.  

A dimostrarlo i risultati della ricerca “Vivere da adolescenti in Italia”, promossa da Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e condotta dall’Istituto Demopolis, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre.

Dall’indagine, infatti, non solo si capisce che a preoccupare oltre la metà, il 55 per cento, degli under 18 c’è il proprio futuro. Ma anche che un terzo degli adolescenti lo vede con pessimismo. E il dato peggiora, sale al 43 per cento, se si stringe il focus solo su chi vive nelle aree fragili del paese.

«Già nella prima fase di indagine, quando abbiamo ascoltato le voci dei ragazzi e delle ragazze, abbiamo rilevato, nello sguardo dei minori, una contrazione della prospettiva a lungo termine. Gli adolescenti mostrano un pragmatismo e un individualismo precoce, condizionato anche dal modello che offriamo noi adulti, che difetta in fiducia», dice Sabrina Titone, dell’istituto Demopolis a commento dei risultati emersi dalla ricerca, secondo cui a influenzare lo scetticismo dei giovani per il domani c’è anche l’opinione dei genitori intervistati: il 73 per cento dichiara di vedere con pessimismo il futuro dei propri figli.

Priorità

Come fa notare Titone, quando agli under 18 viene chiesto sia di definire quali sono le cose più importanti che caratterizzano la vita, sia di esplicitare le preoccupazioni più grandi, ai primi posti nella classifica delle risposte ci sono la dimensione individuale del vivere e le dimensioni prossime all’individuo nello spazio e del tempo: «il mio futuro» è, appunto, l’elemento che crea maggiore inquietudine.

Seguono «la salute fisica e mentale» e «l’andamento scolastico» quasi a pari merito con «i problemi familiari e nel rapporto con i genitori». Solo al sesto posto arriva per la prima volta una dimensione di respiro collettivo: per il 32 per cento dei minori tra i 14 e i 17 anni al centro dell’indagine, anche le guerre nel mondo sono fonte di preoccupazione.

«Questa è la dimostrazione della contrazione della prospettiva dei giovani. Una reazione alla complessità che vivono ma anche una riposta personale al fatto che se non vedono soluzione ai problemi del presente allora a che serve guardare lontano o pensare al plurale?», aggiunge Titone subito dopo aver evidenziato che se in media il 22 per cento dei minori intervistati dice di «non essersi mai sentito fiducioso verso gli altri», il dato sale di dieci punti, al 32 per cento, nelle aree fragili.

Spazi pubblici

A rafforzare la debolezza della dimensione collettiva nella vita degli adolescenti c’è anche un altro dato: il fatto che oltre il 60 per cento degli intervistati dica di trascorrere prevalentemente il proprio tempo libero a casa. Anche se – chiariscono sempre gli intervistati, soprattutto quelli che vivono in aree fragili – vorrebbero che il loro quartiere offrisse più spazi di aggregazione.

«Secondo gli adolescenti, infatti, le città non sono a misura di minore. Meno della metà del campione analizzato ritiene che ci siano adeguati spazi verdi, scuole, strutture per lo sport, trasporti pubblici. Meno del 30 per cento valuta sufficienti la sicurezza urbana, la qualità dell’aria, i servizi sociali. E, fra i ragazzi che dichiarano di vivere in periferie e quartieri difficili, le valutazioni scendono di 10 punti per tutte le variabili analizzate: oltre due terzi ritengono inadeguati servizi sociali e sanitari, occasioni per il tempo libero, sicurezza urbana», spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento.

Che evidenzia anche come per gli adolescenti la possibilità di vivere in sicurezza sia uno degli aspetti fondamentali, soprattutto per le ragazze che nel 63 per cento dei casi temono di poter essere vittime di molestie, violenza o bullismo.

«Quello che abbiamo ascoltato va messo in relazione a due elementi. Il primo è che siamo un paese molto vecchio, tra quelli con più anziani al mondo, e i ragazzi lo sentono, sentono il peso di essere una minoranza. Il secondo elemento, invece, è l’effetto positivo della mobilitazione: quello che vediamo succedere nei quartieri ogni volta che si creano occasioni e opportunità per i giovani, di cui non si parla abbastanza», spiega Marco Rossi Doria, presidente di Con i bambini, a conclusione della presentazione dell’indagine “Vivere da adolescenti in Italia” a cui hanno partecipato anche Marzia Sica, presidente della Commissione Educazione della fondazione Acri e Vanessa Pallucchi del Forum nazionale del terzo settore.

«La richiesta dei minori di protagonismo, di socialità, di aggregazione, amore, amicizia e cura del proprio benessere psicologico viene registrata in ogni parte d’Italia. Rispondere a questa necessità è battaglia di civiltà. Non possiamo andare avanti così, non possiamo descrivere le nuove generazioni come se fossero un’emergenza da risolvere. Sono la possibilità, il futuro che diamo al paese», puntualizza Rossi Doria per sottolineare anche come il lavoro delle organizzazioni per sviluppare le potenzialità degli adolescenti sia essenziale oggi e così si sia dimostrato negli anni.

Se nel 2019, il 32 per cento degli intervistati non aveva mai sentito neppure parlare di povertà educativa minorile oggi il 64 per cento sa di cosa si tratta, emerge sempre dalla ricerca.

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