Ottenere la cittadinanza nel nostro paese è un percorso a ostacoli. Bontempelli: «Il referendum riguarda noi e la nostra idea di popolo»
«Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono». Giorgio Gaber nel 2003 cantava la sua idea di (non) appartenenza: «Mi scusi presidente, se arrivo all’impudenza di dire che non sento alcuna appartenenza». Eppure, chi è nato da cittadini e cittadine italiane, secondo il principio dello ius sanguinis, non rischia di vedersi togliere la cittadinanza se non si sente italiano o commette reati, così come non è tenuto a provare di guadagnare abbastanza o sapere a sufficienza la lingua per ottenere un documento.
Ma cosa significa essere cittadini? E cosa significa essere italiani? Ottenere la cittadinanza in Italia è un percorso a ostacoli, anche per chi è arrivato nel paese a pochi mesi di vita ed è costretto a fare domanda per naturalizzazione. È la principale forma di acquisizione: non un diritto, ma una concessione dello stato. Ci sono requisiti da ottenere, burocrazie da affrontare e anni di attese.
Il referendum dell’8 e 9 giugno ha l’obiettivo di attenuare uno dei requisiti necessari: abrogando un comma dell’articolo 9 della legge del 1992 si propone di ridurre da 10 a 5 anni la residenza continuativa necessaria per fare richiesta di cittadinanza. O meglio, di ripristinare la disciplina precedente alla legge in vigore. Gli altri requisiti invece rimangono: certificato di nascita, casellario giudiziale del paese di origine, conoscenza della lingua e reddito minimo.
«Penso sia fondamentale non solo perché è ragionevole ridurre il termine, adeguandolo alla tendenza europea, ma anche perché i cittadini cominciano a prendere coscienza dell’opacità di queste procedure», spiega Sergio Bontempelli, operatore sociale, studioso e responsabile degli Sportelli di assistenza agli stranieri dei Comuni della provincia di Pistoia.
Un voto dal grande senso simbolico, dice l’esperto: «Le procedure non vengono più nascoste o occultate dietro il concetto che la cittadinanza bisogna meritarla». Poi però servirà comunque una «riforma radicale della legge».
La burocrazia
Anche per le nuove generazioni che hanno promosso il referendum si tratta di un primo passo. Ma già di per sé potrebbe allargare il bacino dei beneficiari, secondo il rapporto di Idos pubblicato il 16 maggio, a 1 milione e 420mila cittadini non comunitari, di cui 284mila minori. 700mila, invece, secondo la stima, rimarrebbero esclusi a causa del requisito del reddito.
Alla difficoltà di avere tutti i requisiti, si aggiungono gli ostacoli formali: se un documento riporta la capitale iraniana “Teheran” e in un altro la trascrizione è “Tehran”, l’amministrazione considera la domanda inammissibile. Nell’ottusità della burocrazia, Bontempelli non legge un’intenzionalità. Di fronte a documenti con diciture diverse i funzionari hanno probabilmente trovato un modo per velocizzare le procedure.
«Bisogna però distinguere l’intenzionalità dall’effetto», evidenzia l’esperto: «Michel Foucault diceva che una delle caratteristiche della burocrazia ostile è il presentarsi al pubblico come stupida, non facendolo intenzionalmente. Cioè l’idea che una burocrazia venga percepita dal corpo sociale tanto più potente quanto più è nelle mani di meccanismi farraginosi, stupidi, ottusi, limitati». Un’idea di burocrazia diversa da quella della Costituzione.
Concessione
Cittadinanza come concessione significa poi enorme discrezionalità del ministero dell’Interno. «È un atto di alta amministrazione», spiega, «qualcosa a metà strada tra il provvedimento amministrativo, che deve seguire una legge, e il più libero atto politico». Un atto demandato ai funzionari e, «se vogliamo, al loro immaginario», suggerendo una concezione dello stato che Bontempelli definisce «predemocratica e precostituzionale», e che porta il Viminale, in diversi casi, a negare la cittadinanza per «un mero sospetto», anche senza condanne né indagini o imputazioni.
In Italia, nel dibattito pubblico e politico, la cittadinanza è intesa come «fortino assediato, da presidiare, vigilando che nessuno entri se non persone iperselezionate con procedure ultra discrezionali», prosegue, sottolineando come le persone con background migratorio siano viste come «immigrate eterne». Sono considerate permanenza provvisoria, perennemente escluse dalla comunità. «E il rischio», dice l’esperto, «è che l’approccio discriminatorio venga perpetuato persino quando le persone ottengono la cittadinanza».
Bontempelli individua due orientamenti: la destra ha una concezione familistica e razziale, secondo cui non è italiano chi nasce, cresce, lavora in Italia, ma chi è espressione di quello che Roberto Vannacci, europarlamentare e vicesegretario della Lega, definisce «italianità»; il pensiero più democratico, invece, tende ad affermare che la cittadinanza deve essere data perché in fondo queste persone sono come noi, «come se uno status giuridico dovesse corrispondere a un’omogeneità etnico-linguistica».
Anche quest’ultima lettura non riflette l’idea di cittadinanza sancita dalla Costituzione, secondo cui soggetti diversi per appartenenza politica, convinzioni, idee religiose convivono e costruiscono una casa comune. «Penso che essere cittadini voglia dire partecipare alla vita della propria comunità, non essere tutti uguali», sottolinea l’esperto.
Perciò, il referendum riguarda tutte e tutti, non solo chi ha origini straniere: «Riguarda noi e la nostra idea di popolo», conclude, «perché c’è una fetta di popolazione che non ha il diritto di rappresentanza, proprio come quando a essere escluse erano le donne».
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