In occasione della trentasettesima edizione dell’International Pinot Noir Celebration, evento che come da tradizione si svolge in Oregon, negli Stati Uniti, ampio spazio è stato dedicato al futuro, alle sfide che il mondo del vino, non solo quello dei produttori di Pinot Nero, dovrà affrontare nei prossimi anni tra cambiamento climatico e trend di consumo.

Uno dei temi principali, da tempo al centro del dibattito, è stata la cosiddetta carbon footprint delle cantine, l’impatto ambientale che la produzione di ogni bottiglia di vino porta con sé.

Dal tipo di agricoltura fino all’energia necessaria per esportare la propria produzione, il calcolo dell’impronta di ogni azienda è molto complesso ma è possibile tracciare dei tratti comuni, che indicano sempre nella stessa direzione: «L’elefante nella stanza è la bottiglia di vetro», ha ribadito Diana Snowden Seysses, produttrice californiana.

Non è un segreto, secondo uno studio del California Wine Institute la sola bottiglia di vino impatta per circa il 29 per cento della carbon footprint di un’azienda vinicola.

Una questione che ha molto a che fare con il peso delle bottiglie: le più pesanti richiedono infatti più energia per la produzione e per il trasporto, con conseguenti maggiori emissioni di carbonio.

Da una parte negli ultimi anni si è assistito a una progressiva diminuzione del peso medio delle bottiglie da vino: se infatti negli anni 90 per un vino ambizioso, costoso, il consumatore si aspettava una bottiglia altrettanto importante, con il passare del tempo ci si è progressivamente abituati a bottiglie meno pesanti anche per i vini più pregiati.

Dall’altra esistono ancora mercati, soprattutto quelli asiatici, in cui il peso della bottiglia da vino rimane ancora elemento determinante in termini di marketing.

Non esiste un limite condiviso, basti però sapere che una bottiglia di vino leggera può pesare anche meno di 400 grammi, quando si parla invece di modelli pesanti questi possono superare con agilità il chilogrammo.

Opzione riuso

Al netto di alcune distinzioni relative per esempio al colore una delle caratteristiche del vetro è che si tratta di materiale riciclabile infinite volte, ma che a ogni passaggio necessita di grandi quantità di energia, quella richiesta dai forni presenti all’interno degli stabilimenti produttivi.

E se il futuro passasse dal riuso? Ne hanno scritto recentemente Jill Barth su Forbes e Samantha Cole-Johnson su SevenFifty Daily. Una pratica di difficilissima attuazione, soprattutto su larga scala.

Molte cantine dovrebbero mettersi d’accordo sull’utilizzo di un unico modello e, in ogni caso, la maggioranza delle bottiglie che vengono prodotte in quasi tutti i distretti produttivi del mondo hanno destinazioni diverse dalla regione di produzione: far fare loro il viaggio inverso, vuote, sarebbe ancora più impattante dal punto di vista climatico.

Esistono però alcune eccellenti eccezioni, a partire dall’Austria e dalla regione della Stiria dove il riuso è in larga parte realtà grazie a un progetto che ha coinvolto oltre 90 cantine. Non solo: Bernard Grafé, proprietario del négociant-éleveur Grafé Lecocq gestisce l'azienda di famiglia seguendo lo stesso modello con cui è stata fondata, nel 1879.

«Abbiamo sempre lavorato acquistando vini da maturare e successivamente imbottigliare per il solo mercato belga, il 90 per cento delle nostre vendite avviene entro 200 chilometri dalla nostra sede, questo ci consente un sistema circolare di raccolta e riutilizzo del vetro». Il cosiddetto vuoto a rendere. 

E ancora: «laviamo le bottiglie per 30 minuti a una temperatura massima di 80 gradi, niente di paragonabile all’energia necessaria per produrre una bottiglia da zero, anche usando vetro riciclato».

In Italia non esistono esempi di riuso nel vino venduto non sfuso, confezionato, tranne uno. A San Giovanni delle Contee, frazione di Sorano, la provincia è quella di Grosseto, in Toscana, c’è una piccolissima cantina che da quest’anno ha deciso di iniziare un percorso di riuso delle bottiglie vendute all’interno dei confini del comune.

Tommaso Ciuffoletti, uno dei titolari di Cantina del Rospo, da anni segue questo specifico tema e dopo un recente confronto con l’ASL ha scoperto che dal punto di vista sanitario è possibile farlo senza particolari difficoltà e che si tratta di pratica particolarmente agevole anche dal punto di vista burocratico. Non a casa si augura il loro possa essere esempio seguito da altre cantine, della zona e non solo.

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