Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.

L’immagine che più mi resta impressa di questo 2020 è quella di un cadavere avvistato in mare per ben quattro volte dai nostri aerei di monitoraggio nell’arco di diverse settimane, e lì abbandonato dalle autorità europee, impigliato in un gommone semi-affondato, come se non fosse una persona.

Un anno fa ricordo che avevamo ancora speranza che con il nuovo governo italiano potessero cambiare le cose in tema di migrazione e soccorso in mare e sicuramente non potevamo immaginare le conseguenze nefaste di una pandemia mondiale.

Indiscutibilmente e pesantemente colpita dal Covid-19, l’Italia ha però, a mio avviso, in parte strumentalizzato il virus per adottare standard discriminatori nei confronti delle persone migranti e di chi le soccorre, per esempio dichiarandosi un porto non sicuro e obbligando solo gli equipaggi delle navi Ong a espletare 14 giorni di quarantena a bordo dopo aver fatto sbarcare i naufraghi soccorsi in mare. Per queste persone l’accoglienza a terra è stata sostituita da due settimane di limbo a bordo di traghetti dove le procedure di asilo e protezione vengono di fatto accantonate, come se i diritti fondamentali fossero derogabili in base alle circostanze delineate da un’emergenza sanitaria.

All’inizio del 2020 avevamo da poco aperto un dialogo con le istituzioni che si sarebbe rivelato fallace. A febbraio, infatti, l’Italia decise di rinnovare gli accordi con la Libia e di continuare a finanziare i respingimenti illegali oltre che, indirettamente, gli orrori dei centri di detenzione libici, gli stessi in cui pescatori di Mazara del Vallo hanno sentito le urla dei detenuti torturati.

Di certo non potevamo immaginarci che questo governo sarebbe stato persino più efficace del precedente nell’ostacolare la presenza civile nel Mediterraneo centrale. Sei navi umanitarie sono state bloccate in pochi mesi con pretesti legati alla sicurezza che di fatto hanno lasciato il mare privo di assetti preposti al soccorso. Ciò è avvenuto in maniera subdola e silenziosa, segnando una cesura di forma con l’approccio propagandistico e sguaiato del governo precedente, ma mantenendone gli obiettivi nella sostanza, attraverso un lavoro di cesello che ha spostato il livello di ostruzionismo dal piano penale a quello amministrativo.

Opposto è stato invece lo sviluppo rispetto alle multe esorbitanti previste per le Ong dal Decreto sicurezza bis, che sono state mantenute ma spostate dal piano amministrativo a quello penale, dove si aggiunge la garanzia della valutazione di un giudice ma si mantiene la minaccia sanzionatoria e il pregiudizio di fondo nei confronti dell’attività umanitaria delle Ong.

Non ci aspettavamo che si sarebbe dovuta attendere la fine del 2020 per una nuova versione dei decreti sicurezza e speravamo che questi fossero abrogati e una legge sull’immigrazione riscritta su basi diverse rispetto a quelle salviniane, ma così non è stato.

Anche l’Unione Europea è rimasta, ancora una volta, sorda di fronte alle richieste italiane di un sistema di redistribuzione automatica delle persone in arrivo alle sue frontiere meridionali. La proposta di Patto sulle Migrazioni pubblicata a settembre tratta le persone come pacchi postali, promuovendo la sponsorizzazione dei rimpatri da parte degli stati membri. La Commissione ha inoltre ufficializzato l’appoggio europeo alla strategia di blocco delle navi umanitarie attuata dal governo italiano, di fatto senza introdurre novità per la tutela della vita umana né alternative legali per la migrazione.

Le attese all’imbocco dei porti italiani delle navi umanitarie dopo i soccorsi si sono gradualmente ridotte rispetto ai tempi salviniani, al prezzo però di ispezioni e relativi blocchi da parte delle autorità italiane, contro cui Sea-Watch ha presentato tre ricorsi, per le nostre due navi e per il nostro aereo di monitoraggio Moonbird. Mentre quest’ultimo ha ripreso a volare dopo una revoca del provvedimento che lo aveva costretto a terra, le navi Sea-Watch 3 e 4 restano bloccate da sei e quattro mesi.

Intanto, nel corso del 2020, almeno 780 persone sono morte sulla rotta del Mediterraneo centrale. Prima di essere fermate, dall’inizio dell’anno, le nostre navi ne avevano soccorse 877 mentre il totale delle persone strappate al mare dalle navi Ong nel 2020 è di quasi 3.700. Attraverso le nostre operazioni di volo abbiamo avvistato 82 imbarcazioni in difficoltà, con un totale di quasi 5mila naufraghi a bordo.

Oltre che dalla pandemia, il 2020 è stato segnato da quella che pare essere un’inarrestabile parabola di abbrutimento, a iniziare da Pasqua, quando Malta ha effettuato un respingimento illegale in Libia con una nave privata. Per continuare, qualche mese dopo, con il caso del mercantile Talia, costretto a tenere a bordo per giorni, fra lo sterco degli animali che trasportava, le persone che aveva soccorso in assenza di altri assetti pronti a intervenire. C’è poi stato lo standoff più lungo della storia, quello del mercantile Maersk Etienne, che per 38 giorni non ha potuto far sbarcare i naufraghi che aveva salvato.

Iniziamo il 2021 determinati ad affermare le nostre ragioni anche in ambito europeo, con il rinvio pregiudiziale del caso Sea-Watch 4 alla Corte di giustizia ue. Ci auguriamo che le nostre navi possano tornare a operare, perché c’è bisogno di loro. Auspichiamo il ripristino del necessario impegno in mare delle autorità europee, prima di tutto italiane e maltesi, al fianco delle Ong o al nostro posto.

La gioia più grande sarebbe, paradossalmente, quella di diventare inutili in presenza di altre vie, sicure e legali, che sostituiscano il fenomeno del traffico e della tratta di esseri umani attraverso il Mediterraneo. Ma per questo, purtroppo, il 2021 non basterà.

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