L’8 maggio scorso è finita sotto sigillo l'Euroallumina. Una notizia finora inedita sulla fabbrica di Portovesme, in Sardegna, considerata una delle più grandi raffinerie di bauxite d’Europa: produce ossido di alluminio, in gergo allumina, da cui poi si ricava il famoso metallo.

Senza annunciarlo pubblicamente, il Comitato per la sicurezza finanziaria ha deciso di congelare il capitale sociale dell'azienda, che vale 15,5 milioni di euro, perché la considera parte del patrimonio di Oleg Deripaska, uno degli oligarchi russi più conosciuti.

Ufficialmente le azioni della Euroallumina sono detenute dalla società cipriota Libertatem Materials Limited, che fa capo al gruppo russo United Company Rusal, fondato proprio da Deripaska nel 2000. D’ora in poi sarà dunque l'Agenzia del Demanio ad avere in mano la gestione del gruppo. Ma cosa ha intenzione di fare lo Stato italiano con questa azienda?

Colosso

La Eurallumina è stata fondata nel 1968 dalla società di Stato italiana Alsar e, dopo vari avvicendamenti, è stata acquistata nel 2007 dalla Rusal, gigante russo dell'alluminio fondato, appunto, da Deripaska. Storicamente l'impianto ha raffinato la bauxite, proveniente soprattutto dall'Australia, per produrre ossido di alluminio.

Quando le cose andavano bene, la società occupava 450 dipendenti diretti e circa 200 indiretti. Tutto questo nell'area del Sulcis, economicamente depressa e con un alto tasso di disoccupazione. Poiché Eurallumina è l'unica fornitrice di allumina dell'ex Alcoa Italia, ora parte del gruppo svizzero Sider Alloys, il cui impianto di Portoscuso di produzione alluminio occupa in Sardegna circa 1.200 addetti tra diretti e indiretti, si capisce ancora di più la sua importanza per l'economia della zona e, più in generale, per la produzione italiana di alluminio.

Il materiale è infatti da sempre molto richiesto, perché utilizzato in tantissimi settori industriali (dalla produzione di auto a quella degli aerei, dalle costruzioni ai macchinari industriali), ma ora più che mai è considerato strategico dato il suo ampio utilizzo nelle tecnologie necessarie per la transizione energetica.

Secondo European Aluminum, l'associazione dei produttori europei, da qui al 2030 l'Ue avrà infatti bisogno di 4 milioni di tonnellate di alluminio in più all'anno, se vuole rispettare l'obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle auto.

La domanda sarà spinta soprattutto dalle batterie dei veicoli elettrici, per le quali l'alluminio è utilizzato in grandi quantità. Secondo una ricerca commissionata dalla stessa European Aluminum alla società di consulenza Ducker Carlisle e pubblicata a maggio di quest'anno, la quantità media di alluminio usata in un'auto prodotta in Europa passerà da 205 chili del 2022 a 256 chili entro il 2030. Da dove arriverà tutto questo alluminio? E a quali costi? È in questa enorme partita geopolitica che s'inserisce il futuro della Eurallumina di Portovesme.

«Qui siamo 200 dipendenti diretti in cassa integrazione a rotazione da ormai 14 anni», ricorda Emanuele Madeddu, della Filctem Cgil. La crisi è iniziata nel 2009, poco dopo l'arrivo dei russi: la recessione globale ha fatto crollare i prezzi dell'alluminio, portando allo stop dell'attività produttiva della fabbrica sarda.

A rendere ancor più complicata la situazione ci sono stati altri due fattori. Da un lato la mancanza di una fonte di energia sostenibile dal punto di vista economico e ambientale. Dall’altro un'inchiesta giudiziaria per disastro ambientale nei confronti dei manager dell'azienda. Partiamo dalla vicenda legale.

L’inchiesta era iniziata nel 2009 ed era culminata con il sequestro del bacino dei fanghi rossi di Portovesme in uso alla Eurallumina. Imputati erano l'amministratore delegato della società, Vincenzo Rosino, e il direttore dello stabilimento, Nicola Candeloro.

Il processo è terminato ai primi di maggio di quest'anno (a 14 anni dall'apertura dell'indagine) con l'assoluzione di entrambi, perché il fatto non sussiste, e il dissequestro della discarica dei fanghi rossi. Pochi giorni dopo, il 16 maggio, la conferenza dei servizi ha dato parere positivo al Paur, il Provvedimento autorizzativo unico regionale.

Erano due dei passi necessari per il riavvio della produzione. Mancano ora all'appello la delibera della Regione Sardegna, che dovrebbe prendere atto della chiusura del lavoro della conferenza dei servizi e del via libera al Paur, e l'aggiornamento dell'accordo tra Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Regione Sardegna e Invitalia per rinnovare gli ammortizzatori sociali nei confronti dei lavoratori diretti e indiretti dell'azienda nell'attesa che si concretizzi il riavvio della produzione.

300 milioni

Quasi risolta la questione giudiziaria, resta quella energetica. L'impianto di Portovesme, che ha una capacità produttiva di 1,07 milioni di tonnellate l’anno di ossido di alluminio, necessità di grandi quantità di energia. La produzione prevede infatti che dalla bauxite, utilizzando soda caustica ad alta temperature, venga estratto l'idrato di alluminio.

Fino al 2009 l'energia era fornita da impianti ad olio combustibile, ma gli alti costi di questo combustibile fossile e le emissioni di gas serra derivanti impongono un cambiamento. Nel cosiddetto Dpcm Sardegna, il governo ha previsto l'installazione nel porto di Portovesme di un Fsru, un terminale di rigassificazione che approvvigionerebbe di metano l'Eurallumina e tutto il polo industriale del Sulcis.

Per via di altre questioni affrontate nello stesso decreto, la Regione Sardegna ha però impugnato il Dpcm davanti alla giustizia amministrativa. Ora si attende dunque la decisione del Consiglio di Stato, prevista per il 16 novembre.

In attesa di capire che cosa succederà, resta un quesito politico di fondo a cui il governo non ha ancora risposto. Quale futuro si prospetta per l'azienda? La questione, riassunta allo stremo, è molto semplice. Il rilancio della Eurallumina si basava sui 300 milioni di euro che la Rusal aveva promesso di investire. Ora che la proprietà russa è stata congelata, chi metterà il denaro? Lo Stato italiano? 

A queste domande specifiche il Mef non ha risposto: ci ha fatto sapere che, sui beni congelati a soggetti russi, “vengono fornite informazioni su dati complessivi e sulla normativa, non entrando nel dettaglio di casi specifici”.


Questo articolo fa parte del progetto investigativo #RussianEscape, coordinato da EIC e CIFAR con il supporto di IJ4EU

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