I collettivi della Sapienza non ci stanno alle parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che giovedì 16 maggio è intervenuto in occasione della cerimonia per i laureati nell’aula magna del palazzo del rettorato dell’università romana. Gli studenti definiscono le parole del capo dello Stato «vuote, retoriche e di parte».

I fatti di ieri

Alla vigilia dell’incontro i collettivi avevano indirizzato una lettera al capo dello Stato, chiedendogli un confronto. Arrivato all’università, Mattarella ha risposto agli studenti: «Non voglio rinchiudermi nella torre d’avorio, voglio dire quel che penso rispetto a ciò che avviene a Gaza: la questione della pace in Medio Oriente, il diritto alla sicurezza di Israele e quello dei palestinesi di avere una patria, è qualcosa che la comunità internazionale avverte con grande preoccupazione». 

Il presidente ha poi ricordato la sua richiesta per il cessate il fuoco inviata al suo corrispettivo israeliano, sottolineando che per l’Italia tutte le violazioni dei diritti umani vanno denunciate.

Mentre sul boicottaggio delle relazioni accademiche con Israele ha affermato: «Il potere, quello peggiore, desidera che le università del proprio paese siano isolate, senza rapporti né collaborazioni con gli atenei degli altri paesi», ribadendo poi il suo auspicio per il dialogo nel mondo accademico. 

La lettera dei collettivi

Tuttavia i collettivi universitari non hanno apprezzato le parole del presidente della Repubblica a cui hanno risposto con un’altra lettera: «Secondo noi il “peggiore potere” che comprime la cultura e osteggia la libertà è quello che nega il dibattito nelle università, che lascia gli interessi privati sovra determinare gli organi democratici della stessa, che censura le iniziative studentesche e che reprime con la violenza il dissenso. Non quello che boicotta i sistemi di oppressione. Non ci sembra poi che lo stesso approccio sia stato adottato in altre situazioni, come quando a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina si è deciso unilateralmente di interrompere gli accordi con le accademie russe. Dunque ciò rappresenta un problema solo quando chiediamo di farlo con qualcuno di scomodo?».

I collettivi chiedono anche perché, visto che il capo dello Stato si dichiara a sostegno del diritto dei palestinesi ad avere uno stato, l’Italia si sia astenuta dalla votazione per il suo riconoscimento all’Assemblea generale dell’Onu. «È ormai evidente a tutto il mondo – continuano – che chiamare un "cessate il fuoco", anche pubblicamente, anche nelle sedi più importanti, come ad esempio l’Onu, non basti più per fermare il
genocidio portato avanti dai sionisti».

In merito all’affermazione del presidente sulla «dignità umana, la rivendicazione della libertà, la condanna della sopraffazione, il rifiuto della brutale violenza non cambiano valore a seconda dei territori, a seconda dei confini tra gli Stati, a seconda delle relazioni internazionali tra parti politiche o movimenti», i collettivi chiedono «come tutto ciò possa combaciare con il sistema di due pesi e due misure messo in atto quando si narrano da una parte le risposte e gli attacchi della resistenza palestinese e dall'altra le operazioni militari di sterminio dell'esercito sionista», sostenendo poi che «in Palestina esiste una dinamica di oppressione e sterminio sistematici in atto da decenni, sostenere la pace in Palestina non vuol dire condannare le violenze da una parte e dall’altra, vuol dire schierarsi fermamente dalla parte dell’oppresso. Sarebbe assurdo chiedere la pace senza prima impegnarsi per mettere fine all'oppressione».

Il comunicato degli studenti si conclude con la promessa di continuare le proteste nelle università, chiedendo che le istituzioni interrompano i legami con Israele, nel caso in cui lo Stato non interrompa l’invio di armi, gli scambi commerciali e non applichi sanzioni a Israele: «Se lo stato italiano non ha intenzione di sfiduciare le istituzioni israeliane attraverso l'interruzione dell’invio di armi, gli scambi commerciali o l'applicazione di sanzioni, continueremo a farlo noi dal basso. Per colpa della vostra ipocrisia è l’unico strumento che ci lasciate per provare a fermare un genocidio».

Le proteste nelle altre città italiane

Nelle principali città universitarie italiane, Roma, Milano, Torino, Bologna, Siena, Firenze e Padova, gli studenti stanno occupando con le tende gli spazi dell’università per protestare contro la guerra a Gaza, definita da loro un «genocidio».

Ciò che chiedono i manifestanti è il boicottaggio dei rapporti accademici tra le università italiane e israeliane, ma nella maggior parte dei casi le amministrazioni delle istituzioni si sono chiuse, escludendo gli studenti dal dibattito. 

Nell’anniversario della Nakba, “la catastrofe” ovvero l’esodo palestinese del 1948, che è caduto il 15 maggio, studenti e docenti di tre università di Firenze si sono ritrovati «per chiedere una presa di posizione alle nostre istituzioni rispetto al genocidio a Gaza, che sta continuando in questi giorni con l’invasione israeliana di Rafah». 

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