Tre mesi senza scuola, quando arriva l’estate. Se si confronta il nostro paese con altri europei in realtà non c’è una grande differenza nel numero di giorni di lezione, anzi in alcuni stati questo dato è addirittura inferiore. In Italia un anno scolastico è valido se si è fatto un minimo di 200 giorni di scuola, mentre per la metà dei paesi europei bastano 170/180 giorni. Il problema però è che in Italia le vacanze sono per la maggior parte concentrate nel periodo estivo.

In altri paesi l’anno scolastico è caratterizzato da più interruzioni rispetto a quanto previsto in Italia. Questa differenza influisce sulla diversa lunghezza dei periodi estivi. Si passa infatti dalle sei-otto settimane in Francia, Germania, Liechtenstein, Regno Unito e Norvegia, alle 10-12 per Grecia. Finlandia, Islanda e Portogallo. Lettonia, Italia e Malta sono le uniche che chiudono l’elenco con 13-14 settimane consecutive di vacanza. 

Se la quantità totale di istruzione offerta è suppergiù la stessa, la diversa distribuzione porta con sé delle conseguenze. Ferie scolastiche così lunghe rappresentano un problema per i genitori che lavorano per buona parte delle vacanze dei loro figli, ma hanno anche effetti sull’apprendimento dei bambini.

Povertà educativa

Secondo una ricerca condotta nel 2011 da Rand Education per Wallace Foundation sugli studenti statunitensi, la perdita di conoscenze durante l’estate (summer learning loss) non è equa e contribuisce ad aumentare il gap di apprendimento fra allievi poveri e benestanti.

Dallo studio emergeva che nel periodo invernale non c’era un’enorme discrepanza tra i risultati ai test dei bambini con alto status socio-economico e gli altri alunni, invece dopo le vacanze estive le capacità dei primi erano migliorate mentre peggioravano per i secondi, specialmente in matematica e lettura.

Il divario inoltre riguarda anche il mancato sviluppo delle competenze cosiddette “non cognitive” quali l’autostima, le relazioni sociali, la creatività, le capacità di problem solving.

A margine dello studio Rand, Nancy Devine di Wallace Foundation, ha detto che «sta diventando sempre più chiaro che l’anno scolastico convenzionale non è sufficiente per dare a molti studenti svantaggiati l’istruzione che meritano». 

La ricercatrice Morena Sabella ha condotto uno studio simile in Italia Primi si nasce. Analisi longitudinale. Nel nostro paese il gap d’apprendimento, evidente dopo l’estate, continua ad ampliarsi anche dopo un anno scolastico, segno che la scuola non è attualmente capace di controbilanciare le differenze socioeconomiche tra studenti. Un divario non colmato può essere alla base della dispersione scolastica.

I dati Ocse, che sono stati presentati in questi giorni, hanno evidenziato un calo nella quota di giovani adulti (25/34 anni) senza un’istruzione secondaria superiore, un passaggio dal 26 per cento al 22 per cento, ma la statistica italiana rimane ancora troppo alta rispetto alla media Ocse (14 per cento). Inoltre non si tratta di una conquista omogenea, perché al sud il tasso sale al 25 per cento. 

«L’Italia – ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara – rimane spaccata in due. Un fatto, questo, moralmente inaccettabile, tanto che abbiamo varato Agenda Sud che coinvolge 2 mila scuole in particolare primarie, con una sperimentazione su 10 punti».

Vacanze inique

La pausa estiva genera differenze nell’apprendimento perché le vacanze dei ragazzi non sono tutte uguali. Una famiglia benestante può offrire ai figli canali di istruzione alternativi quali: corsi di musica, vacanze studio e svariate altre forme di arricchimento socioculturale a cui invece un bambino a basso reddito non può accedere.

Nel 2015 Save the Children contava che su 9 milioni di alunni, più di 5 milioni non avevano potuto godere di una vacanza fuori casa di almeno 4 notti consecutive, con un trend in netto peggioramento dal 2008, quando i bambini e i ragazzi che non potevano permettersi una vacanza di questo tipo rappresentavano il 39,5 per cento della popolazione minorile, saliti al 46 per cento nel 2012, fino ad arrivare al 2015, anno in cui rappresentano il 54,6 per cento. Seppur con alcune differenze, questa deprivazione riguarda allo stesso modo tutte le fasce d’età. 

Cosa fa la politica

Nel Regno Unito è già dal 2008 che il tema è entrato nel dibattito politico, e il loro calendario è strutturato in modo da minimizzare il gap d’apprendimento, praticando più giorni di vacanza durante l’anno scolastico e riducendo le vacanze estive a sei settimane. 

Anche in Italia si discute se il periodo di vacanza estivo non sia eccessivamente lungo. In un incontro formativo per dirigenti scolastici il presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, si era espresso lo scorso maggio a favore di una riduzione della pausa estiva, con l’inserimento di stop più frequenti durante l’anno come in tanti altri paesi europei. 

Il ministro dell’istruzione però non è dello stesso avviso. Se anche Valditara ritiene tre mesi eccessivi, la soluzione per lui non è nell’accorciare le vacanze, ma nel tenere le scuole aperte anche in estate per attività e corsi di vario genere. In realtà in Italia questo già succede per circa tremila istituti (meno del dieci per cento delle circa 41mila scuole presenti in Italia) ma ciò finora non ha particolarmente inciso sul problema, anche perché questo tipo di corsi copre un periodo davvero limitato nelle 13-14 settimane di pausa estiva. Il ministro poi non ha fornito alcuna indicazione precisa su come implementare l’offerta estiva, che richiederebbe anche ingenti risorse economiche.  

Secondo Cesare Moreno, fondatore di Maestri di strada, le vacanze estive rappresentano un «vuoto» che le famiglie non riescono a colmare. Anche nei contesti meno degradati il vuoto permane perché è cambiata negli anni la struttura della famiglia. «Prima le famiglie erano numerose e i suoi membri vivevano assieme e ed era possibile gestire il tempo libero dei ragazzi in maniera significativa» – dice Moreno – «adesso è la società civile che deve sobbarcarsi il compito perché le famiglie non ce la possono fare».

Come per il ministro Valditara, anche per Moreno la soluzione non è quella di accorciare le vacanze, ma trasformare le scuole in campi estivi. «I corsi da offrire  – dice Moreno –  non dovrebbero però essere una ripetizione della scuola fatta durante l’anno, ma attività interessanti per bambini e ragazzi in modo da sviluppare quelle competenze “non cognitive” che anche lo studio Rand misurava deficitarie dopo la pausa estiva nei ragazzi con famiglie di reddito inferiore».

Che fare?

Se è indubbio che tre mesi di vuoto non siano sostenibili per famiglie e ragazzi, specialmente nei contesti più difficili dove questi comportano addirittura una perdita di capacità di apprendimento, è sulla soluzione che rimane qualche perplessità.

Esistono voci discordanti tra chi predilige una diversa distribuzione delle vacanze durante l’anno scolastico e coloro che preferiscono tenere immutato il calendario ma con le scuole aperte le scuole alla cittadinanza anche nei mesi estivi.
In entrambi i casi, oltre ai benefici per l’apprendimento, ci sarebbe un effetto secondario non trascurabile che riguarda il tenere impegnati i ragazzi nei contesti più difficili.

La scelta rimane in capo alla politica, a cui i dati Ocse e le tante realtà che spesso la cronaca racconta impongono comunque di intervenire senza indugio.

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