Due anni dopo l’approvazione alla Camera della legge delega sul voto fuori sede, il senato tace. E così, a spingere per una riforma che la politica sembra voler rimandare all’infinito, ci pensano i cittadini. O almeno, le reti civiche che li rappresentano. Oggi The Good Lobby Italia, Will e la Rete Voto Fuori Sede hanno depositato in cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo emblematico: “Voglio votare fuorisede”.

L’obiettivo è chiaro: raccogliere almeno 50.000 firme entro sei mesi per portare il parlamento a riprendere l’iter legislativo e garantire il diritto di voto anche a chi, per studio, lavoro o motivi di salute, si trova lontano dal comune di residenza. La raccolta firme per la legge è attiva da oggi, anche online, attraverso la piattaforma del ministero della Giustizia

«Quella della legge di iniziativa popolare è stata una scelta quasi obbligata: non possiamo più permetterci di aspettare», ha dichiarato Fabio Rotondo di The Good Lobby. «Abbiamo certamente apprezzato le sperimentazioni promosse dal governo, ma il testo approvato alla Camera è fermo in senato ormai da due anni. La politica continua a ignorare una riforma necessaria che avrebbe potuto - e soprattutto dovuto - essere già realtà».

Le sperimentazioni a cui si fa riferimento sono quelle del 2024 (elezioni europee) e del giugno 2025 (referendum), durante le quali è stata concessa la possibilità di votare da fuori sede, inizialmente solo a studenti, poi estesa a lavoratori e persone in cura.

I numeri mostrano una domanda crescente: dai circa 24.000 studenti fuorisede registrati nel 2024 si è passati a più del doppio, con oltre 67.000 richieste nel 2025, tra cui più di 38.000 studenti, 28.000 lavoratori e quasi 800 cittadini fuori sede per motivi di salute. Un aumento netto, nonostante i tempi ristretti per fare domanda.

Eppure, l’Italia resta tra i pochissimi paesi dell’Unione Europea, insieme a Malta e Cipro, a non prevedere il voto a distanza sul territorio nazionale. Una lacuna che penalizza milioni di cittadini e limita di fatto l’esercizio di un diritto costituzionale.

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