Con l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario e quindi della nuova legge elettorale del Csm, è partita la corsa a palazzo dei Marescialli e i più interessati sono i parlamentari. La riforma ha aumentato da 8 a 10 i membri laici e in periodo di incertezza politica la nomina è quantomai ambita. Se i togati verranno eletti dai colleghi all’elezione che si svolgerà intorno a fine settembre, i laici verranno individuati dal parlamento in seduta comune e con maggioranza qualificata dei tre quinti.

Devono essere professori in materie giuridiche oppure avvocati con almeno 15 anni di iscrizione all’albo, mentre non è necessario che siano parlamentari (nell’attuale consiliatura lo è solo il vicepresidente del Csm, David Ermini).

Negli anni passati, infatti, la nomina è stata utile strumento dei partiti per tenere i rapporti con mondi giudiziari di riferimento. Invece, «in questa tornata ci sarà un’infornata di parlamentari, ci sono molte ambizioni e sarà un problema gestirle», dice un membro della commissione Giustizia della Camera.

Molti, infatti, vedono palazzo dei Marescialli come un ritiro sicuro dalle tempeste politiche. I laici del futuro consiglio, infatti, verranno eletti da questo parlamento in scadenza sulla base degli attuali rapporti di forza tra i partiti e rimarranno in carica fino al 2026, con tranquillità assicurata e uno stipendio da circa 170mila euro lordi l’anno, cui si sommano indennità di seduta e rimborsi di trasferta. La prospettiva è decisamente ambita, soprattutto tra chi teme di non essere ricandidato o comunque di non venire rieletto a causa del crollo dei rispettivi partiti e del taglio del numero dei parlamentari.

Storicamente si tratta di posti utili a gestire i rapporti dei partiti con i mondi giudiziari di riferimento, anche perché tra i laici si sceglie il vicepresidente del Csm, che gode di un filo diretto con la presidenza della Repubblica. Invece, la fase di incertezza politica presente e anche il cresciuto ruolo che i laici hanno assunto al Csm, li ha fatti diventare desiderabili per i parlamentari che hanno i requisiti per aspirare alla nomina.

Fino a un paio di consiliature fa, finire al Csm era considerato un parcheggio di lusso per chi veniva nominato, perché i consiglieri laici erano più che altro spettatori della vita interna al Csm. Oggi, invece, stanno diventando sempre più determinanti: rappresentano un terzo del plenum, ma lo scandalo Palamara ha portato alle dimissioni di cinque togati e le elezioni suppletive hanno reso più instabili i rapporti di forza dentro al Consiglio, di conseguenza sempre più spesso il loro voto sia stato determinante per alcune nomine di peso o scelte di commissione.

Nella consiliatura che ora sta concludendo il mandato, gli allora 8 laici erano ripartiti con tre in quota Movimento 5 Stelle (Alberto Maria Benedetti; Filippo Donati e Fulvio Gigliotti); due in quota Lega (Stefano Cavanna ed Emanuele Basile); due di Forza Italia perchè FdI gli aveva ceduto il suo potenziale eletto in cambio di un (gli avvocati Michele Cerabona e Alessio Lanzi) e uno Pd.

Difficile dire invece quanti posti spetteranno ora a ciascuna forza politica ma, sulla base della dimensione dei gruppi, si può ipotizzare che la Lega e ne nomini due, Forza Italia o il Pd si contenderanno il secondo eletto, Italia Viva e Fratelli d’Italia uno e i Cinque stelle tre (ma dipenderà dalla scissione del gruppo in corso, che farà cambiare le proporzioni).

Il totonomi

Se tra i parlamentari nessuno si sbilancia: «i giochi si faranno a settembre e dipendono da moltissime variabili», tuttavia è possibile che «se un partito inizia a nominare parlamentari invece che esterni poi anche gli altri seguano sulla stessa linea».

Uno dei nomi considerati possibili per ragioni di curriculum e di ruolo nel partito è quello della responsabile giustizia del Pd, Anna Rossomando, al terzo mandato parlamentare e avvocata, di cui si immagina anche una possibile nomina a vicepresidente del Csm sulla scia dell’uscente David Ermini. Tra i dem, però, circolano anche i nomi dei due membri della commissione Giustizia, Alfredo Bazoli e Franco Vazio. 

Anche nel Movimento 5 Stelle la prospettiva è molto diversa rispetto al 2018, dove i tre laici vennero scelti dal voto online e al Csm andarono tre professori. Anche in vista della mannaia del divieto di terzo mandato, per il leader Giuseppe Conte assegnare almeno uno dei posti a un parlamentare di stretta osservanza sarebbe una valvola di sfogo.

Uno che potrebbe ambire è il senatore Ettore Licheri, contiano di ferro e dirigente di peso. Sul fronte del centrodestra le bocche sono tutte cucite ma tra tutti ad avere i requisiti sarebbe Alberto Balboni, vicepresidente in commissione Giustizia in quota Fratelli d’Italia. Attualmente, il partito di Meloni non ha rappresentanti laici eletti perchè nel 2018 aveva rinunciato a indicare un nome in favore di Forza Italia, che aveva indicato due laici Alessio Lanzi e Michele Cerabona.

Vita dura, quindi, la avranno gli esterni al parlamento a cui piacerebbe accasarsi a palazzo dei Marescialli in quota politica. In ogni caso, esiste sempre quel pizzico di imponderabilità al momento del voto, a maggior ragione vista la necessità di maggioranza qualificata: gli equilibri da tenere in piedi sono tanti e il voto di settembre per nominarli si preannuncia tutt’altro che semplice.

 

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