Si sa, sapere è potere ed è ancora più vero in politica. Soprattutto se è in corso una campagna referendaria come quella per la riforma della giustizia.

Forse proprio per questo il ministero della Giustizia si sta affannando a recuperare dati statistici: l’ultima caccia riguarda i dati statistici relativi ai minori allontanati dalle famiglie d’origine.

La missiva che Domani ha potuto visionare è protocollata dal ministero e inviata a tutti i presidenti dei tribunali per i minorenni, con oggetto “Rilevazione urgente”, richiesta dal Gabinetto del ministro.

Via Arenula chiede a tutti i presidenti di trasmettere «entro il 1 dicembre (la mail è del 26 novembre ndr) i dati dell’ultimo triennio, relativi al numero di minori per i quali è stata disposta la misura di cui all’articolo 403 c.c., nonchè ove possibile al numero dei minori per i quali, in altri procedimenti, è stato disposto il collocamento del minore in strutture residenziali o case famiglia».

La richiesta fa evidentemente il paio con la polemica politica in corso sulla cosiddetta “famiglia del bosco”, sulla quale il ministro Nordio si è espresso con toni critici nei confronti del provvedimento giudiziario che ha allontanato i tre figli della coppia. 

L’allontanamento dei minori

Rispondendo a un question time, ha detto di aver chiesto con urgenza la trasmissione degli atti – non ancora pervenuti – e ha definito «il prelievo forzoso di un minore una misura estrema», da adottare solo dopo «un difficile bilanciamento tra l'interesse futuro del minore e quello attuale al mantenimento dello status quo». Qualora emergessero responsabilità, «eserciterò i poteri conferiti dalla legge», ha concluso.

Non ha però risparmiato la nota critica sull’operato delle toghe: «Dopo anni di bombardamento mediatico contro la civiltà dei consumi e l'eccessivo uso delle fonti di produzione elettriche o nucleari, quando una famiglia decide di vivere pacificamente secondo i criteri di Rousseau, a contatto con la natura, si arriva poi a provvedimenti così estremi».

Ecco che allora, proprio nel giorno del question time, è partita la richiesta del ministero di raccogliere i dati in tutti i tribunali. L’operazione potrebbe corroborare la tesi critica di Nordio nei confronti delle toghe, utile anche alla campagna referendaria i cui ormai sono entrati anche temi e polemiche che nulla c’entrano con il merito della riforma. 

A saltare agli occhi, però, è anche il metodo empirico di raccolta dei dati, che impegnerà il già scarso personale amministrativo degli uffici. Un’operazione che potrebbe tranquillamente essere automatizzata, se ci fossero i mezzi. Del resto, nonostante la riforma Cartabia allocasse buona parte dei fondi del Pnrr per l’informatizzazione degli uffici, i risultati sono ancora scarsi.

Le misure cautelari

E non è solo il ministero ad essersi lanciato nella caccia ai dati. Anche l’Unione nazionale camere penali ha lanciato una raccolta dati con lo stesso metodo: scrivendo ai presidenti dei tribunali e ai coordinatori degli uffici Gip, viene rivolta la richiesta di ottenere i dati statistici del 2022, 2023 e 2024 sulla percentuale di accoglimento, da parte del Gip, delle richieste di misure cautelari personali e reali avanzate dagli uffici di procura. 

Chiaro l’obiettivo: capire se, come sostengono i penalisti, l’ufficio del Gip sia il più soggetto alla indebita commistione tra pubblici ministeri e giudici, con l’effetto di accogliere con eccessiva solerzia le richieste cautelari della procura.

La legittima richiesta dell’Ucpi (in attesa di vedere se i magistrati risponderanno e, se sì, quali dati emergeranno) si incardina evidentemente nella campagna referendaria e potrà diventare il secondo capitolo della polemica sui dati del ministero che si è consumata la settimana scorsa.

Le intercettazioni 

Durante un dibattito a Bari sul referendum, infatti, c’è stato uno scontro tra il procuratore capo Roberto Rossi e il viceministro Francesco Paolo Sisto sui dati forniti dal ministero sulle intercettazioni, in risposta a una interrogazione.

Secondo i dati ministeriali, i Gip accolgono le richieste dei Pubblici Ministeri di intercettazioni nel 94 per cento dei casi, di proroga delle intercettazioni nel 99 per cento dei casi; di proroga delle indagini preliminari nell'85 per cento dei casi. I Gup accolgono le richieste del Pm di rinvio a giudizio nell'oltre il 90 per cento dei casi.

Rossi ha contestato i numeri, dicendo che «il dato non è vero, è una falsità, a Bari non sono mai stati chiesti. Mi quereli pure Nordio». Il ministro ha risposto a distranza, dicendosi «stupito» dalle dichiarazioni, «probabilmente è il procuratore della Repubblica di Bari che ha dati sbagliati».

Eppure, a sostenere la tesi di Rossi, è intervenuto il consigliere laico del Csm, Ernesto Carbone, secondo cui si tratta di «numeri che non stanno né in cielo né in terra» e che sono stati male assemblati dal ministero. Carbone ha spiegato a Repubblica che «la stessa richiesta di proroga può essere autorizzata per alcuni bersagli e non per altri» inoltre «specie in indagini di mafia o narcotraffico, molte persone hanno più telefoni», infine «una persona può avere più utenze intestate e darle in uso ad altri». Tradotto: è impossibile ottenere dati statistici cosi netti, senza scorporarli sulla base di queste variabili. 

Inoltre, anche per questi dati, rimane lo scoglio ancora insuperabile della mancata informatizzazione: le intercettazioni vengono disposte con “modello 37”, che non è informatizzato ma su registri cartacei.

Insomma: i dati spesso mancano, sono difficili da raccogliere perché dipende da come vengono forniti, e anche le interpretazioni possono non essere univoche.

Eppure, tra tutti gli attori della campagna referendaria e soprattutto al ministero, c’è la consapevolezza di quanto siano utili a corroborare le proprie tesi. Così la caccia è cominciata.

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