Cari lettori,

questa è stata la settimana dello sciopero dei magistrati contro la riforma dell’ordinamento giudiziario. La partecipazione sotto le aspettative – ferma al 48 per cento – pone una serie di interrogativi alla magistratura che in questa newsletter proveremo ad analizzare.

Per provare a riaccendere il dibattito di merito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, torniamo a parlare dei requisiti di valutazione dei magistrati: l’avvocato Luigi Viola e il magistrato Massimo Marasca scrivono insieme un’analisi sul criterio delle “gravi anomalie”, che rischia di produrre conformismo nella redazione delle sentenze, sulla base di una giustizia predittiva che perde di vista il caso concreto.

Sul fronte delle novità giuridiche, invece, torniamo a parlare di società benefit: un nuovo modello di società che implementa nello scopo di lucro anche la finalità di un beneficio comune. Gli avvocati di Deloitte, Ferdinando Grimaldi, Paola Gribaldo e Lorenzo Giannico, analizzano come questo influenza e modifica il ruolo degli amministratori della società.

A questo proposito, Deloitte sta svolgendo un ciclo di seminari sul tema dell’Esg (Environmental, Social and Governance) il secondo dei quali riguarda proprio le società benefit.

L’anniversario della strage di Capaci

Si commemora il 23 maggio il trentennale della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice istruttore Giovanni Falcone, la moglie e magistrato Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

Gli eventi saranno moltissimi, noi vogliamo ricordare questa data cardine della storia italiana e della lotta alla mafia con un articolo di Giovanni Tizian e Attilio Bolzoni, che ha dedicato la sua vita di goirnalista a raccontare il fenomeno mafioso e conobbe Falcone. La loro descrizione comincia così: Nel tribunale di Palermo Falcone è solo. È solo in Sicilia, solo in Italia. Un giudice troppo diverso per piacere a una magistratura pacifica e paludata, troppo audace il suo “riformismo rivoluzionario” in un paese che sopravvive sulle convenienze e sui ricatti. Sono trascorsi trent’anni dalla morte del giudice, c’è da scommettere che una cosa non mancherà durante le commemorazioni: l’ipocrisia del potere.

Il punto dopo lo sciopero

Lo sciopero indetto dall’Anm contro la riforma dell’ordinamento giudiziario non ha avuto gli esiti sperati, intermini di partecipazione. La media nazionale è stata del 48 per cento, con picchi bassi a Roma.

Qui tutti i dati ufficiali dei singoli distretti:

ANCONA: 63%

BARI: 69%

BOLOGNA: 73%

BRESCIA: 66%

CAGLIARI: 39%

CALTANISSETTA: 60%

CAMPOBASSO: 44%

CATANIA: 65%

CATANZARO: 45%

FIRENZE: 40%

GENOVA: 49%

L’AQUILA: 38%

LECCE: 59%

MESSINA: 35%

MILANO: 51%

NAPOLI: 53%

PALERMO: 58%

PERUGIA: 50%

POTENZA: 45%

R. CALABRIA: 52%

ROMA: 38%

ROMA/CASS.: 23%

SALERNO: 54%

TORINO: 33%

TRENTO: 25%

TRIESTE: 47%

VENEZIA: 47%

Proprio questa bassa partecipazione ha prodotto tre tipi di reazioni. Una parte della magistratura inizia a rumoreggiare, chiedendo di fare una valutazione politica sui vertici dell’Anm: è questa la posizione di Articolo 101, che scrive «L’adesione inferiore al 50%, avuto anche riguardo ai dati del passato, costituisce un plateale insuccesso dell’iniziativa promossa dalla GEC, dimostra che l’approccio, le proposte e le strategie di cui l’associazionismo giudiziario ha bisogno non sono quelle volute dall’attuale maggioranza che governa l’ANM e manifesta la necessità di una loro radicale modifica».

I vertici e i gruppi associativi che più hanno spinto per lo sciopero hanno invece fatto notare che la decisione è stata assunta non dall’Anm ma dall’assemblea, con un voto, dunque la scelta è stata collettiva. Queste le parole del segretario generale, Salvatore Casciaro: «In un contesto generale non facile, c’è stato un livello di adesione all’astensione intorno al 50%, comunque importante. Il che dimostra come l’Anm si sia fatta interprete autorevole del disagio e della preoccupazione reale di tanti magistrati». Anche il gruppo più critico, Magistratura democratica, ha sì definito «un fallimento» lo sciopero ma ha invitato l’Anm «a rimanere unita».

Infine, c’è la posizione della politica, che ha cavalcato il cattivo esito dello sciopero per blindare la riforma, che evidentemente non preoccupa le toghe nei termini posti dall’Anm, vista la bassa partecipazione alla mobilitazione.

Esiste un quarto livello di ragionamento, però: nel corso dei giorni precedenti, le posizioni dei singoli che si sono espressi contro lo sciopero hanno fatto emergere che la contrarietà di fondo alla riforma era forte, ma lo era altrettanto la contrarietà ai metodi assunti dall’Anm. Su questo, probabilmente, servirà una riflessione del sindacato delle toghe.

La relazione Ue sui tempi della giustizia

La Commissione europea ha pubblicato il suo rapporto annuale sui sistemi giudiziari. Per l’Italia il quadro che emerge è così riassumibile:

- Per arrivare a una sentenza di primo grado in cause civili o commerciali, secondo i dati 2020 servono quasi 700 giorni, contro i 200 (in Germania per esempio) della top10 dei paesi.

-  Per una sentenza di secondo grado in Italia ci vogliono oltre mille giorni (meno di trecento in Germania) e per il terzo grado bisogna attendere quasi 1.600 giorni.

- Numero di avvocati: ce ne sono circa 400 ogni 100 mila abitanti, rendendo l’Italia il quarto Paese nell'Ue per numero di legali in proporzione alla popolazione, alle spalle di Lussemburgo, Cipro e Grecia. In Germania il rapporto avvocati/popolazione  di 200 ogni 100mila, in Francia di 100.

La commissione dà un giudizio positivo sulle riforme: «Diamo un giudizio molto positivo delle riforme della Giustizia in Italia e ora monitereremo che effettivamente verranno realizzati gli obiettivi», ha dichiarato il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, che ha apprezzato «la decisione di investire nella digitalizzazione».

Il libro di Renzi e il Csm 

Matteo Renzi ha pubblicato il suo nuovo libro Il mostro, in cui racconta il suo scontro con i magistrati di Firenze che hanno portato avanti l’inchiesta Open e il suo processo di “mostrificazione” agli occhi dell’opinione pubblica.

Il libro prende in considerazione anche le nomine al Csm, in particolare quella del vicepresidente David Ermini e ne parla nei termini di una nomina fatta con il cosiddetto “metodo Palamara”, confermando quanto scritto nel libro Il sistema di Palamara. Gli attacchi a Ermini, a cui per altro Renzi non è nuovo, hanno però toccato anche la vicenda legata alla loggia Ungheria, scrivendo che Ermini – bruciando i verbali senza timbri che gli erano stati consegnati da Davigo – avrebbe distrutto il «corpo del reato». Per questo Ermini ha annunciato querela.

Equo compenso agli avvocati

In casa dell’avvocatura la tensione sta aumentando. In una nota congiunta, Cnf, Ocf, Cassa forense, Aiga e altre associazioni specialistiche hanno sollecitato il Senato ad approvare definitivamente la legge che tutela l’equo compenso per i professionisti.

«Dobbiamo contrastare con forza», si legge nella nota, «il rischio di proletarizzazione della professione, e il provvedimento licenziato dalla Camera dei deputati, seppur in alcuni aspetti emendabile, merita di essere approvato anche dal Senato. Infatti, non deve essere sottostimata la portata effettiva del ddl 2419 sull’equo compenso che, al fine ristabilire un necessario equilibrio nei rapporti tra operatori economici e liberi professionisti, impone ai contraenti forti e alla Pubblica amministrazione il riconoscimento di compensi professionali rapportati ai parametri ministeriali».

L’obiettivo è quello di tutelare «un compenso equo, parametrato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, sganciato da una logica di mercato che negli ultimi anni ha registrato una svilente gara al ribasso, con conseguenze non solo economiche per i professionisti, ma anche qualitative per il cittadino».

Il rischio, infatti, è che il testo venga modificato al Senato e quindi debba tornare in approvazione alla Camera, con il risultato che di fatto la sua approvazione diventerebbe difficilissima entro questa legislatura.

Per questo spicca la posizione autonoma di Anf (Associazione nazionale forense) che chiede invece modifiche al testo:  «è un errore quello di voler approvare in modo sbrigativo una legge con tante criticità senza apportare le necessarie modifiche. Quanto sta accadendo con l'equo compenso è una forzatura che incomprensibilmente spacca in due il mondo delle professioni che attende una nuova legge da tempo, ma non una legge qualsiasi», ha dichiarato il segretario generale Giampaolo Di Marco.

Novità dal processo di Perugia 

E’ in corso a Perugia il processo a Luca Palamara e Steano Rocco Fava per rivelazioni di segreto d’ufficio. Dal processo stanno emergendo nuove risposte sulla vicenda dell’hotel Champagne, con le voci dei diretti interessati.

Davigo

Tra i testimoni sentiti, c’è stato anche l’ex magistrato Piercamillo Davigo, che ha risposto a una serie di quesiti utili a risolvere il rebus che ha poi prodotto indirettamente lo scontro sulla loggia Ungheria.

Davigo, infatti, ha risposto dei suoi rapporti con l’ex compagno di gruppo associativo, Sebastiano Ardita, con il quale i rapporti si sono progressivamente deteriorati. «Io all'inizio avevo un ottimo rapporto con Ardita, siamo stati eletti insieme al Csm, non avevo motivi di astio, ho anche scritto un libro con lui. Poi i rapporti si sono deteriorati. E dopo tutta una serie di vicende sono arrivato anche a ipotizzare che Ardita mi fosse stato mandato dietro da Cosimo Ferri», ha detto Davigo.

Il racconto di Davigo riguarda la vicenda dell’Hotel Champagne: «Ci fu la pubblicazione delle intercettazioni dell'Hotel Champagne e gli chiesi se c'era qualcosa che non sapevo. Ebbi una discussione energica perchè Ardita si chiuse nel suo ufficio per due o tre giorni con l'allora consigliere Lepre, che poi si dimise, e gli feci notare che era inopportuno dopo quello che era stato pubblicato perchè poteva essere chiamato in correità». Davigo racconta anche del perchè prima votò Michele Prestipino al vertice della procura di Roma, dopo lo stop a Viola in seguito alle rivelazioni sul “sistema Palamara”. «Optai per Michele Prestipino, che aveva lavorato in Sicilia contro la mafia, in Calabria contro la 'ndrangheta e a Roma coordinando la Dda mentre Ardita insisteva perchè io votassi per Viola: lui si rifiutò di votare Prestipino in plenum e mi fornì ragioni false, dicendo che non lo avrebbe votato perchè Prestipino era un aggiunto e non un procuratore e a quel punto gli feci notare che solo qualche tempo prima lui stesso aveva votato un aggiunto come procuratore per un altro ufficio. Io dissi che la risposta che mi aveva dato non era vera e da lì si chiusero i nostri rapporti personali. Ancora di più alla luce di quanto emergeva sul suo nome in relazione alla vicenda sulla presunta Loggia Ungheria».

Ardita

Alle dichiarazioni di Davigo ha subito risposto Ardita, dicendo che valuterà se agire per tutelarsi. Ha poi spiegato che il loro rapporto «Si è interrotto per ragioni molteplici, partite dal riposizionamento dopo la vicenda dell'Hotel Champagne. Lui mi ha negato il saluto dopo una riunione in cui ho detto che non potevo votare per Michele Prestipino che lui aveva deciso di appoggiare».

Palamara

L’ex magistrato Luca Palamara, che aveva annunciato ricorsi contro la sua radiazione dalla magistratura, ha colto le parole di Davigo – che faceva parte della sezione disciplinare che lo ha rimosso – nel suo processo come un elemento a suo favore. «Sono sconvolto dal fatto che il mio giudice, cioè Davigo, mi abbia giudicato senza conoscere nemmeno il contenuto dell'incolpazione che mi riguardava», ha detto facendo dichiarazioni spontanee. «Quello che ho sentito oggi mi fa pensare che quel giorno il Csm abbia scritto una pagina oscura sulle vicende che mi hanno riguardato».

La morte di Valerio Onida

L’ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, è morto a Milano il 14 maggio all’età di 86 anni.  Nella sua lunga carriera di giurista, va ricordato anche il suo grande impegno per i detenuti e il suo impegno volontario da consulente per i detenuti delle carceri milanesi e l'associazione “Avvocati per niente”.

Nella sua carriera di docente, è stato mentore anche della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che lo ha ricordato come «il maestro che mi ha aperto la strada, un gigante del diritto costituzionale, che ha messo la sua passione, la sua disarmante semplicità e la sua limpida intelligenza al servizio delle istituzioni e dei diritti degli ultimi».

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