Il processo di Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio all’ex magistrato e membro del Csm, Piercamillo Davigo, sta entrando nel vivo del dibattimento. Davigo, imputato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver rivelato ad alcuni membri del Csm e a un parlamentare il contenuto degli atti riservati di Milano sulla loggia Ungheria, ha scelto il rito ordinario.

Nelle scorse settimane il pm milanese Paolo Storari, imputato per lo stesso reato ma che ha scelto il rito abbreviato, è stato assolto anche in appello. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni, ma l'ipotesi è che il giudizio della Corte non si discosti di molto da quello del primo grado, che ha ritenuto di assolvere Storari, incorso «in un errore di norma extrapenale», perchè era convinto di rivelare informazioni segrete a chi era deputato a conoscerle in quanto consigliere del Csm.

Intanto, davanti ai giudici di Brescia stanno prendendo la parola come testimoni i principali protagonisti di quella fase del Csm e dalle loro parole si sta delineando il clima che si respirava a palazzo del Marescialli nei mesi precedenti alla divulgazione pubblica dei verbali della presunta loggia Ungheria. Tra i testimoni sono stati sentiti i consiglieri del Csm, Fulvio Gigliotti, Giuseppe Cascini e Nino Di Matteo, oltre al presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra.

Ognuno ha aggiunto un pezzo della sua verità su come andarono i fatti e soprattutto su come l’iniziativa di Davigo di divulgare i verbali incise su altre scelte.

Il pensionamento di Davigo

Il consigliere laico del Csm, Fulvio Gigliotti, ha spiegato di essere stato messo a conoscenza dei verbali di Amara sulla loggia Ungheria da Davigo e ha raccontato anche come si è giunti alla decisione di far decadere Davigo dal ruolo di consigliere del Csm, una volta andato in pensione.

 «Ho avuto modo di parlarne anche con altri consiglieri e mi sono reso conto che non c'era convergenza totale. Inizialmente il comitato di presidenza pareva orientato per la permanenza del consigliere Davigo e mano a mano che ci si avvicinava la data della sua pensione, l'orientamento è cambiato. Io ho sentito anche l'esigenza di spiegare sui giornali il perché votavo a favore del consigliere Davigo, ovviamente su base tecnica giuridica perché all'interno del Csm ho sempre agito su basi giuridiche. E proprio sul piano tecnico ritenevo che dovesse completare la consiliatura».

Si è parlato di questo argomento perchè Gigliotti ha detto di non poter escludere che il cambio di orientamento del Csm potrebbe essere stato determinato da influenze esterne. «Le politiche consiliari sono complicate da leggere e spesso non orientate solo in base a situazioni interne, ma anche da situazioni esterne».

Gigliotti ha concluso dicendo di non aver creduto al contenuto dei verbali: «Se ci avessi creduto ne avrei tenuto conto nei rapporti con i consiglieri del Csm Sebastiano Ardita e Marco Mancinetti, cosa che non ho fatto», ha detto riferendosi ai due componenti del Csm nominati nei verbali. Quanto a chi fosse a conoscenza dei verbali, Gigliotti ha detto di aver saputo che «era stato avvisato il Quirinale e il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi».

L’inerzia di Milano

E’ stato ascoltato anche il togato di Area, Giuseppe Cascini, che ha raccontato di aver parlato con Davigo perchè quest’ultimo sapeva che lui si era occupato di una indagine in cui compariva anche Piero Amara, voce dei verbali. «Davigo voleva sapere se fosse affidabile o meno».

Cascini ha detto che, secondo lui, Davigo fosse nel giusto nel ritenere che la procura di Milano dovesse fare un’indagine: «Erano dichiarazioni esplosive ed è mia convinzione che fosse preciso dovere della Procura di Milano fare un'indagine per capire se fossero vere, visto che erano coinvolte personalità delle principali istituzioni del Paese. Che invece ci fosse una situazione di stallo da parte della Procura di Milano, che dopo qualche audizione non aveva fatto alcuna iscrizione, era motivo di preoccupazione». Secondo Cascini, infatti, la procura di Milano avrebbe dovuto «trasmettere queste informazioni al Csm in modo che fosse investito il Consiglio. Dissi a Davigo che Storari doveva dire al procuratore di mandare gli atti al Consiglio. La mia prima valutazione è che la procura di Milano non stava rispettando la circolare: la regola era di investire il Csm. In quelle dichiarazioni si parlava di molti magistrati e a norma fatti di possibili rilievo ai danni di magistrati devono essere segnalati al Consiglio».

Gli effetti delle rivelazioni su Ardita

Davigo ha avvertito del contenuto dei verbali anche il senatore e presidente della commissione Antimafia del Movimento 5 Stelle, Nicola Morra. Lui era amico sia di Davigo che di Ardita e, sapendo che tra i due i rapporti si erano raffreddati, aveva provato a fare da pacere. «Chiedendo al Davigo se c'era la possibilità di una conciliazione con Ardita, lui prese un faldone, coperto da fogli protocollo a righe, e mi invitò a seguirlo fuori dal suo ufficio, nelle scale. Aprendo questo faldone mi fece leggere il cognome Ardita» dicendogli che, secondo alcune dichiarazioni in una indagine, «Ardita faceva parte di un'associazione».

Morra ha raccontato che Davigo lo invitò a fare attenzione. Infatti, Morra ha confermato che la prospettiva di nominare il consigliere del Csm Sebastiano Ardita (che nel processo a Davigo si è costituito parte civile) come consulente in qualche attività della commissione parlamentare antimafia è «naufragata» dopo le rivelazioni di Davigo.

Il caso Prestipino alla procura di Roma

Come testimone è intervenuto anche il consigliere del Csm, Nino Di Matteo, che è stato anche colui che ha rivelato l’esistenza dei verbali della loggia Ungheria, comunicandola al plenum del Csm e definendoli «diffamatori» dopo averli ricevuti in plico anonimo. Di Matteo ha sempre sostenuto che «c'era in atto una manovra per calunniare e screditare Sebastiano Ardita e colpirlo nella sua funzione di consigliere del Csm».

Davanti ai giudici, Di Matteo ha raccontato anche di una riunione del gruppo associativo con il quale era stato eletto e fondato da Davigo, Autonomia e Indipendenza, avvenuta nel marzo 2020 per parlare della nomina del nuovo procuratore di Roma. Dopo lo scandalo Palamara che fece saltare nomina di Marcello Viola (oggi procuratore di Milano) dopo i fatti dell’Hotel Champagne, il plenum del Csm doveva esprimersi sui nuovi candidati.

«Ho partecipato ad una riunione choccante alla presenza di Davigo, Ardita, della consigliera Ilaria Pepe e dell'ex consigliere Alessandro Pepe e la consigliera Pepe era colpita dal fatto che sui quotidiani si parlasse di una spaccatura all'interno della nostra corrente sull'elezione del procuratore di Roma. In un articolo del Fatto Quotidiano si diceva che io e Ardita non avremmo votato per Prestipino ma per un altro candidato, Michelazzo. A quel punto Davigo, con una veemenza inaudita disse ad Ardita: “Se tu non voti Prestipino, sei fuori da tutto” e ancora “Se tu non voti Prestipino sei con quelli dell'Hotel Champagne”».

Davanti alla scena, Di Matteo ha raccontato di aver detto che «quel gruppo era peggio degli altri, perché non si consentiva ai consiglieri di votare secondo coscienza i propri candidati. Reagii in maniera istintiva e dissi a Davigo: “Non mi sono fatto condizionare dalle minacce di morte di Totò Riina, figuriamoci se mi faccio minacciare dalle tue minacce”».

Tutti sapevano, nessuno parlò

Di Matteo ha ricostruito anche le reazioni nel Csm, quando disse ai colleghi che intendeva parlare dei verbali della loggia Ungheria davanti al plenum del Csm. «La sapevano tutti e quando dissi al vicepresidente David Ermini che volevo parlarne al plenum, lui già sapeva di Ardita».

Il consigliere Csm ha anche ricostruito che il vicepresidente Ermini gli disse che «potevo dire quello che volevo». Invece, prima del plenum, «il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, mi invitò a non fare questo intervento perché aveva già preso contatti con la Procura di Milano» per dare impulso alle indagini. Invece, Di Matteo decise di intervenire e dire tutto pubblicamente, perchè già «mezzo Csm sapeva» e anche molti giornali. 

Domani, infatti, in quei giorni aveva pubblicato un articolo a firma di Emiliano Fittipaldi che dava conto dell’esistenza dei verbali segreti.

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