La Corte costituzionale ha eletto la seconda donna alla sua guida, dopo Marta Cartabia. Si tratta della giuslavorista Silvana Sciarra, che ha prevalso dopo un testa a testa con l’altra donna eleggibile, l’amministrativista Daria De Pretis, superata per otto voti a sette. Per prassi, la Consulta sceglie come presidente il membro con maggiore anzianità di nomina, ma i nomi in lizza erano tre: Sciarra, De Pretis e Niccolò Zanon, tutti nominati giudici nello stesso giorno del 2014.

Il plenum dei 15 giudici, appena ricostituito con la nomina presidenziale di Marco D’Alberti, si è spaccato quasi a metà e ha visto prevalere per una sola preferenza la giudice che è anche la più anziana anagraficamente e che per questo, il 13 settembre, aveva pronunciato il discorso di saluto al presidente uscente, Giuliano Amato

«Ho il privilegio dei capelli bianchi, i colleghi hanno premiato l’anzianità», ha detto Sciarra in conferenza stampa, quasi a sottintendere che il criterio dell’età sia prevalso, nonostante la spaccatura interna. Poi ha aggiunto di voler «incanalare la fiducia che mi è stata data in un clima di collegialità», ricordando che il metodo collegiale è un tratto distintivo della Consulta. Per consuetudine, infatti, quello di presidente è considerato un ruolo soprattutto di natura tecnica.

Sciarra ha sottolineato che proseguirà sulla controversa linea comunicativa portata avanti da Amato, il quale ha parlato pubblicamente con grande disinvoltura delle decisioni della Corte, anche spiegandole in conferenza stampa, come ha fatto al momento della dichiarazione di inammissibilità dei quesiti referendari su cannabis, fine vita e responsabilità civile dei magistrati.

Nomina parlamentare

Considerata un giudice di impronta progressista, le sue sentenze più significative sono la quella che ridisegna parzialmente il Jobs act, incidendo sui criteri di determinanzione delle indennità per i licenziamenti illegittimi; la sentenza che riconosce il diritto ai cittadini stranieri di avere accesso alle prestazioni di sicurezza sociale per famiglie disagiate e l’assegno per il nucleo familiare e quella in tema di diritti fondamentali, che sollecita il legislatore a tutelare i diritti dei figli di due madri.

Peculiarità di Sciarra è quella di essere giudice di nomina parlamentare, scelta dalle camere nel 2014 su proposta del Partito democratico, accolta anche dal Movimento 5 stelle che su di lei svolse una votazione online. La convergenza sul suo nome superò mesi di stallo e segnò il primo accordo tra dem, all’epoca guidati da Matteo Renzi, e i grillini. Secondo alcuni retroscena dei giorni del voto, proprio a lei il Movimento 5 stelle avrebbe pensato come possibile candidata anche per la presidenza della Repubblica.

Allieva di Gino Giugni, padre dello statuto dei lavoratori ed ex ministro socialista, Sciarra ha sottolineato proprio la sua provenienza “parlamentare” enfatizzando però la sua indipendenza. I giudici di nomina parlamentare, infatti, vengono eletti con due terzi dei voti e poi con almeno tre quinti, dal terzo scrutinio. Proprio questa maggioranza sempre qualificata è la dimostrazione della «trasversalità del consenso, che garantisce indipendenza».

Sciarra ha anche fissato i temi che le stanno più a cuore: la tutela dell’ambiente come valore primario; la tutela dei diritti delle persone e in particolare dei detenuti. Inoltre, ha sottolineato che la Corte continuerà ad avere una presenza attiva nelle assemblee con le altre corti europee e mondiali; rafforzerà il rapporto di confronto con la Corte di giustizia europea e anche con i giudici ordinari. Infine, ha sottolineato l’importanza di una «collaborazione con il parlamento».

Il primo scoglio

Proprio questo rischia di essere uno dei passaggi più complicati della sua presidenza, che durerà fino a novembre 2023. Nel suo discorso conclusivo, Amato ha detto che, nei casi in cui le legittime decisioni della Corte hanno bisogno di intervento legislativo per realizzarsi, «capita più volte di incontrare o il silenzio del parlamento o voci in esso discordi, che ne prevengono le scelte».

I riferimenti sono a casi recenti – dalla legge sul fine vita alla modifica delle norme in materia di carcere ostativo – in cui il parlamento non ha recepito le indicazioni della Consulta, che rimetteva alle camere di modificare le leggi in modo organico secondo l’orientamento costituzionale.

Il primo scoglio della nuova presidenza sarà quello dell’8 novembre prossimo, quando è fissata l’udienza pubblica in materia di carcere ostativo e che era stata rinviata lo scorso maggio per permettere al parlamento di portare a termine l’iter di approvazione della nuova legge.

La caduta del governo ha però bloccato tutto e ora la Corte dovrà valutare se concedere – qualora richiesta – una ulteriore proroga al nuovo parlamento. L’alternativa è quella di procedere con la dichiarazione di incostituzionalità della norma, nella parte in cui - per alcuni tipi di reati come la mafia e il terrorismo - subordina l’accesso ai benefici penitenziari alla collaborazione del detenuto.

 

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