La Corte di Ancona ha accolto la richiesta della pg di riformare la sentenza di primo grado e condannare l’uomo per violenza sessuale. La fattispecie riconosciuta è quella della minore gravità. La procuratrice: «Le parole della ragazza precise e puntuali», acconsentì alle effusioni manifestando subito di non voler andare oltre
Per il solo fatto che la ragazza aveva acconsentito «di andare in un posto solitario» con l’uomo, «in tarda serata e avendo accettato di baciarsi con l’imputato, era evidente che fossero in quel luogo per avere un rapporto sessuale». Queste erano le parole scritte dal tribunale di Macerata nella sentenza di assoluzione in primo grado di un uomo di 31 anni, 25enne all’epoca dei fatti, impugnata dalla minore di origine straniera, in Italia per una vacanza studio.
Oggi, 21 ottobre, la Corte d’appello di Ancona ha ribaltato la pronuncia del 2022, molto contestata dalle associazioni dell’antiviolenza e dai movimenti femministi, per la vittimizzazione secondaria prodotta, condannando l’imputato per violenza sessuale a tre anni di reclusione. Il reato individuato dai giudici di secondo grado è quello previsto dall’articolo 609 bis, nella fattispecie della minore gravità. La motivazione verrà pubblicata entro 90 giorni e la difesa ha già annunciato che presenterà ricorso in Cassazione.
Il tribunale di primo grado aveva escluso l’ipotesi di stupro, denunciato dalla ragazza all’epoca 17enne, poiché avendo «già avuto pregressi rapporti sessuali completi» e poiché «usava la pillola anticoncezionale», «era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione».
In appello, la sostituta procuratrice generale Cristina Polenzani ha chiesto di riformare la sentenza di assoluzione e condannare l’imputato per violenza sessuale alla pena richiesta in primo grado, cioè di 4 anni e 1 mese. Oppure, in subordine, la condanna per abusi sessuali di minore gravità. Polenzani ha sottolineato in udienza che le parole della ragazza furono «precise e puntuali», e acconsentì alle effusioni manifestando subito di non voler andare oltre.
Il primo grado
I fatti risalgono al 2019, quando la giovane, di origine straniera, si trovava a Macerata in vacanza studio. Era uscita con un’amica e due uomini italiani «pressoché sconosciuti», scrivono i giudici. Mentre la coetanea e uno dei due si erano allontanati, la ragazza è rimasta in auto con l’uomo, «accettando di accomodarsi sul sedile posteriore dell’autovettura e qui di scambiarsi effusioni amorose con lui, senza manifestare sino a quel momento alcuna contrarietà», si legge nella sentenza.
Denunciando il fatto, la ragazza ha raccontato di «essere stata costretta a subire contro la sua volontà un rapporto sessuale vaginale completo, non protetto, che l’imputato aveva condotto a termine con eiaculazione finale, approfittando della sua prestanza fisica». La minore si è poi allontanata a piedi tornando al residence dove, in lacrime, ha riferito tutto all’amica e all’insegnante.
Aveva detto all’imputato «più volte di fermarsi – ha raccontato alle forze dell’ordine – di non volere fare altro e di voler tornare a casa». Tuttavia, «nonostante il dissenso verbale e fisico manifestato più volte» si era consumato il rapporto sessuale contro il suo volere mentre lui «le bloccava le spalle allo sportello con una mano e sdraiandosi sopra di lei». La ragazza aveva ribadito che «non era riuscita a urlare in quanto scioccata».
Il freezing, cioè l’immobilità, è infatti la reazione più comune, documentata da moltissime ricerche, alla violenza sessuale. Nella maggior parte dei casi, lo dimostrano le neuroscienze, la risposta è il congelamento e non la reazione. I giudici però, non considerando la normativa internazionale e le ricerche in tema, hanno insistito sul fatto che la ragazza non abbia «in alcun modo opposto resistenza, né invocato aiuto», o «cercato di sottrarsi ad esempio aprendo la portiera posteriore, pur potendolo fare tranquillamente, così da scendere dal veicolo prima che l’imputato l’avesse – a suo dire – bloccata».
Nelle motivazioni, il tribunale di Macerata invece ritiene che le effusioni iniziali e l’aver avuto altri rapporti sessuali possano presumere il consenso della ragazza. A questo, si legge nella sentenza, si aggiunge l’assenza dei segni della violenza. Un ulteriore elemento che dimostra il limite della normativa italiana, secondo cui il reato sussiste quando l’autore usi violenza o minaccia o abuso di autorità.
La Convenzione di Istanbul prevede chiaramente che occorre accertarsi che ci sia il consenso in ogni fase del rapporto. Per consenso si intende la «libera manifestazione della volontà della persona», «valutato tenendo conto della situazione e del contesto». E questa volontà può essere revocata in qualsiasi momento e in qualunque forma.
Vittimizzazione secondaria
L’Italia è già stata condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per le parole utilizzate nelle sentenze in tema di violenza di genere e violenza sessuale. Un linguaggio che, aveva rilevato la Cedu nel 2021, spesso riproduce vittimizzazione secondaria, inserendo nelle decisioni stereotipi sessisti e utilizzando affermazioni colpevolizzanti.
Rossella Benedetti, del team legale della rete nazionale Differenza Donna, ricorda inoltre che l’Italia «è stata condannata dal Comitato Cedaw proprio per gli stereotipi e i pregiudizi sessisti diffusi nei tribunali italiani in particolare nei casi di violenza sessuale».
L’associazione, che gestisce centri antiviolenza, conosce il fenomeno della «colpevolizzazione della vittima nei procedimenti per violenza sessuale», che «costituisce una delle manifestazioni più insidiose degli stereotipi di genere nel sistema giudiziario, perché trasforma la vittima del reato in corresponsabile della condotta criminosa subita, ribaltando completamente le responsabilità e anche dell’accertamento giudiziale che non tiene in questo modo mai conto del consenso della vittima».
Tuttavia, conclude Benedetti, che attende di leggere le motivazioni, sorprende che «sia stata riconosciuta l’attenuante della minore gravità in un caso di stupro ai danni di una minorenne».
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