12 dicembre 1969, era venerdì. Alle 16.37 una bomba piazzata da mani terroriste all’interno della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano provocò 17 morti e 88 feriti. Si inaugurava la strategia della tensione, il piano scientemente ordito da destra neofascista, servizi segreti e massoneria per terrorizzare i civili e indurli a invocare l’uomo forte.

I morti erano esponenti della classe media, piccoli borghesi, risparmiatori, gruppi con cui la maggioranza silenziosa può essere indotta a identificarsi e quindi a richiedere, a implorare una tregua, una soluzione d’ordine che mettesse fine al caos.

Sono gli anni dei movimenti, della mobilitazione operaia, dei sindacati, degli studenti, di cambiamenti invocati, praticati e rivendicati con massicce dosi di protesta e partecipazione politica. Con depistaggio, propaganda e sabotaggio è possibile far credere che si tratti di azioni compiute dai “rossi” e quindi da un lato spezzare l’ascesa del protagonismo delle masse e dall’altro delineare la risoluzione dei problemi attraverso un’operazione militare di “ordine e disciplina”.

La prospettiva, il progetto neanche tanto velato di parte della destra infiltrata nelle istituzioni era uno scenario greco, ossia invocare l’intervento e il governo dei colonelli, che in Grecia dal 1967 avevano assunto il potere. Insomma, lo spettro del colpo di Stato, dell’intento che riemergeva e che sarà presente nella storia democratica e repubblicana italiana come uno spauracchio, come avvenne con il Piano Solo nel 1964. Vogliamo i colonnelli diventa il titolo di un film di Mario Monicelli con il grande Ugo Tognazzi in una chiara evocazione del golpismo strisciante in Italia, tra il 1964 e il 1970.

La matrice neo-fascista dello stragismo

Il 12 dicembre segnerà la storia politica e sociale dell’Italia: dopo Portella della Ginestra l’atto di terrorismo politico di maggiori dimensioni dalla fine del fascismo, la madre di tutte le stragi. In realtà oltre alla Banca dell’Agricoltura in quella giornata, nel lasso di un’ora, ci furono altri cinque attentati che provocarono molti feriti. È l’inizio degli anni di piombo. Una lunga e sanguinosa stagione che ha reso l’Italia un campo di battaglia.

La violenza diventa di “massa”, investe civili inermi, persone comuni, “borghesi piccoli piccoli”, per condurli nel gorgo della deriva autoritaria. Quel giorno di dicembre marca una frattura profonda nella società e tra la società e la politica.

La vicenda giudiziaria inoltre marchiò la pelle della giovane democrazia: ne sono protagonisti il commissario Luigi Calabresi, il questore Marcello Guida, gli anarchici Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, ballerino uno, ferroviere l’altro. Ne seguì un processo lungo, tortuoso, con risvolti drammatici per gli imputati. Pinelli “cadde” dalla finestra della questura durante un drammatico interrogatorio, “innocente morto tragicamente”, come recita la lapide commemorativa che ha recentemente sostituito quella posta dagli studenti nelle giornate immediatamente successive in cui era descritto quale “ucciso innocente”.

Calabresi fu ucciso tre anni dopo essere stato al centro di una dura campagna stampa denigratoria, il processo ad Adriano Sofri divenne il paradigma della farraginosità del sistema giudiziario. Nelle intersezioni di quella vicenda lavorarono faccendieri, traditori dello stato e della Costituzione, infiltrati, neofascisti, agenti al soldo di varie entità, e che agirono per depistare, nascondere, far tacere, in un baratro in cui persero la vita diversi soggetti in strani e sospetti “suicidi”.

La Corte di Cassazione nel 2005 ha stabilito che a operare la strage fu un gruppo legato a Ordine nuovo – movimento neo-fascista – guidato da Franco Freda e Giovanni Ventura, sebbene non perseguibili perché precedentemente assolti.

Il 12 dicembre del 1969 fu un chiaro tentativo di bloccare sul nascere la grande stagione di mobilitazione, rivendicazione e lotta cominciata dal movimento studentesco l’anno prima e proseguita con “l’autunno caldo” proprio del 1969 con gli scioperi nelle fabbriche, azioni da cui scaturirono poi lo Statuto dei lavoratori e altre conquiste sociali, quali il diritto allo studio.

Per sedare sul nascere l’ondata “rossa” di partecipazione orientata a scardinare equilibri socio-economici consolidati, a far avanzare l’Italia tra i paesi democratici anche sul piano dei diritti, un grumo di interessi reazionari puntò alla sedizione, al terrore e allo stragismo per spianare la strada a interventi che fossero prologo all’arrivo dell’“uomo della provvidenza”.

Una data ancora divisiva

L’Italia del “12 dicembre”, come canta De Gregori, non è però ancora patrimonio comune e soprattutto condiviso. La presidente del Consiglio Meloni ha evocato la strategia della tensione durante l’assalto alla sede nazionale della CGIL nel 2021 da parte dell’estrema destra fascista, evidentemente facendo (volontaria?) confusione storica e politica con la vera stagione di terrorismo neo-fascista che insanguinò il Paese tra il 1969 e il 1980, passando per Piazza della Loggia e l’Italicus nel 1974 fino appunto all’inizio degli anni Ottanta con l’attentato alla stazione di Bologna. Una strage “fascista” – con lo zampino della P2 – come reca la lapide nella sala d’attesa a perenne memoria, verità non accettata di buon grado da vari colonnelli di FdI. Una strategia eversiva quella varata nel 1969 che puntava a modificare gli assetti istituzionali e politico-sociali del paese verso una soluzione di stampo autoritario.

Durante un incontro per ricordare i cinquanta anni della strage, cui parteciparono i familiari delle vittime e le vedove di Pinelli e di Calabresi, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che quella bomba fu frutto di «un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali e reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto». Palazzo Chigi e il Parlamento ripartano da queste evidenze storiche.

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