Il 25 settembre 2005 moriva a Ferrara Federico Aldrovandi.
Erano le primissime ore di quella domenica in cui il silenzio pressoché assoluto che regnava in via Ippodromo venne improvvisamente squarciato da “urla disumane”, rumori gutturali, voci per lo più non intellegibili e rumori sordi di colpi.

Così veniva ucciso Aldro, un ragazzo appena maggiorenne, incensurato, disarmato, che non aveva commesso alcun reato. Non stava facendo nulla di male. Era figlio di un’impiegata comunale, Patrizia, e di un ispettore della Polizia municipale, Lino. Nipote di un maresciallo dei carabinieri.

Una tragedia che investì tutta la città, che si divise tra chi empatizzava fortemente con quella famiglia, improvvisamente travolta e devastata da un dolore insopportabile che non li avrebbe mai più abbandonati, e chiedeva a gran voce verità e giustizia per la morte del loro giovane figlio e chi, viceversa, difendeva l’operato degli agenti intervenuti sul posto.

La Questura non fece nulla per ridurre quello strappo con i famigliari di Federico che a sua volta produsse una frattura sempre più profonda con tanti cittadini ed anche qualche istituzione, sindaco in testa.
Per giustificare la scomparsa di quel ragazzo, vennero evocati la droga, l’autolesionismo, la pazzia, un improvviso malore e cosi via.

Venne in un primo tempo negato l’uso della violenza poi giustificato da un comportamento particolarmente aggressivo del ragazzo verso gli agenti.
Venne colpevolizzata la sua stessa famiglia per la droga.
Non mancarono i depistaggi nelle prime indagini fatte dai colleghi degli agenti coinvolti.
Mentre la nebbia fitta era scesa sulla causa di morte durante le operazioni autoptiche, non mancarono durissime prese di posizione da parte di alcune sigle sindacali con le quali veniva attaccata Ferrara, “città che non ci merita”.

Non meritava, cioè, tutti gli agenti che vi prestavano servizio e che, compatti, si dichiaravano sicuri dell’innocenza dei colleghi sotto indagine non esitando a definire calunniatori coloro che per caso avessero l’ardire di sostenere di aver visto qualcosa di diverso. I volti del Sap (una delle sigle più attive) furono quelli di Gianni Tonelli e Stefano Paoloni che poi avremmo presto ritrovato nelle file della Lega.

Non è bastata la “confessione” telefonica registrata in una conversazione di uno degli operanti intervenuti con la centrale operativa, dove ammetteva che quel povero ragazzo, prima di morire, era stato pestato di brutto per mezz’ora.
Non è bastato il rinvenimento di ben due manganelli che erano stati rotti sul suo povero corpo.

Non sono bastate le testimonianze raccolte che riferivano di una ragazzo pestato e schiacciato a terra che diceva disperatamente “Basta, aiuto!” mentre veniva preso pure a calci. Non è bastato il conteggio fatto dal giudice delle 54 lesioni riscontrate sul cadavere. Non bastato l’accertamento tossicologico di Torino che ha concluso per l’assenza di qualsiasi traccia di droga nel corpo di Federico. Non sono bastate le condanne a tre anni e sei mesi inflitte ai poliziotti imputati confermate fino in Cassazione.

Quella frattura non si è mai ricomposta. L’atteggiamento del Sap, cui si è unito anche il Coisp, non è cambiato: all’assemblea del primo, a Rimini, sono stati portati ed applauditi i poliziotti condannati. Esponenti del secondo, poi, si sono distinti in un itinerante forma di protesta per esprimere loro solidarietà per tutta la città di Ferrara, con sosta obbligata del loro camper proprio sotto il Comune dove lavorava Patrizia Moretti.

Passano gli anni e Tonelli (che fu segretario del Sap all’epoca) fa pure carriera politica venendo eletto nelle file della Lega. La stessa Lega che conquista il comune di Ferrara eleggendo a sindaco Alan Fabbri. Normale che, compagni di partito, partecipino insieme e concordi ad eventi elettorali.

Alan Fabbri, proprio al ventennale dalla scomparsa di Federico Aldrovandi, ha patrocinato una bellissima serie di eventi per ricordare Federico al fianco di Patrizia e Lino pronunciando parole inequivocabili di partecipazione e condivisione alla memoria del loro figlio ucciso dalla Polizia.
Possiamo parlare quindi di una ferita finalmente rimarginata? Questo non lo so viste le posizioni politiche espresse e propagandate dalla Lega in tutto il Paese in tema di diritti umani. Una cosa, però, è certa: nessuno della Lega potrà qui dire qualcosa di diverso rispetto a quanto nobilmente espresso dal Sindaco Fabbri.

Sembra la fine di un percorso di vita personale e professionale particolarmente travagliato. Patrizia e Lino mi hanno restituito motivazioni che avevo smarrito ad esito di una difficilissima vicenda famigliare. La loro ribellione civile alle mistificazioni e falsità hanno cambiato il mio modo di concepire la professione di avvocato e di vedere però il volto di uno stato che avrei preferito non conoscere.

Ho imparato che in tragedie come questa la memoria è tutto. È la vita residua. Ed in un’epoca dove si riesce a dimenticare l’indimenticabile, il fatto che tutti, ma proprio tutti oggi ricordino il volto di Federico Aldrovandi vuol dire che è esistito non solo per i suoi genitori ma per tutti noi.

© Riproduzione riservata