Ci sono i familiari e gli amici di Patrick Guarnieri, la mamma e il padre di Matteo Concetti. E poi la sorella di Stefano Dal Corso, i fratelli di Andrea Di Nino. I cari, insomma, di chi in carcere ha perso la vita e «che dallo Stato - sostengono - è stato ucciso». Famiglie che a Roma, questo pomeriggio, davanti al ministero della Giustizia, si sono radunate per chiedere «verità».

E soprattutto che su queste morti «spesso liquidate come suicidi» si faccia chiarezza. Mentre le famiglie raccontano le loro storie, tra le associazioni presenti rimbalza la voce di un’altra morte in una struttura detentiva, fatto che il portavoce della Conferenza dei garanti territoriali Samuele Ciambriello conferma a Domani. «È successo ieri (15 maggio, ndc). A togliersi la vita nel carcere di Taranto un detenuto con problemi psichici».

La storia di Patrick Guarnieri

«Patrick (Guarnieri, ndc) è stato trovato morto due mesi fa nel giorno del suo compleanno nel carcere di Castrogno a Teramo - spiega Adele Di Rocco, vicina alla famiglia Guarnieri e referente dell’associazione Codice Rosso -. Aveva vent’anni, era sordomuto, autistico e cleptomane: crediamo che il suo stato fosse incompatibile col regime carcerario, eppure si trovava proprio in carcere, tra l’altro per piccoli furti, quando è morto. Ci è stato detto - continua Di Rocco - che questo ragazzo si sia impiccato, abbiamo tuttavia molti dubbi».

A evidenziare le "criticità” del caso Guarnieri è anche il legale della famiglia, Carlo Taormina, presente all’appuntamento con le famiglie. «La Procura di Teramo ha aperto un’inchiesta - dice l’avvocato -. Tutto è in corso, ma ci sono elementi critici. In primis c’è da dire che Patrick, per aver violato l’obbligo di dimora, è stato mandato in carcere. Di solito in questi casi e in casi come il suo si va ai domiciliari. Poi - prosegue Taormina - il ragazzo aveva un disagio grave. Adesso si tratterà appunto di capire se c’era compatibilità tra

la sua situazione e il carcere quando l’hanno arrestato».

«Mamma, aiutami»

Rita Faraglia, mamma di Matteo Concetti, «morto suicida in una cella di isolamento del carcere di Ancona”, ricorda poi le ultime parole del figlio, che di anni ne aveva venticinque. «Qui c’è tanta gente che ha bisogno di aiuto e loro non hanno neanche una mamma come me. Mamma aiutami», mi disse mio figlio durante un colloquio. «Ora - continua la donna arrivata da Rieti - non posso più andare avanti, quelle parole mi riecheggiano dentro ogni notte.

E poi c’è la rabbia - dice ancora Faraglia - perché Matteo, a cui era stata revocata la misura cautelare ed era stato tre anni in una comunità riabilitativa, è morto molto prima di gennaio 2024, è morto nel 2012 quando lo Stato, i servizi sociali, il tribunale dei minorenni lo hanno abbandonato a se stesso. Aveva bisogno di cure e non le ha avute, di sostegno psicologico e non lo ha ottenuto. Per fare luce sulla sua storia ho già fatto una denuncia, ma andrò fino a Strasburgo se ce ne sarà bisogno. Matteo in carcere non doveva starci». La sua storia, quella di Matteo, che interroga e fa riflettere su un sistema carcerario fallimentare, viene ricordata anche da Ilaria Cucchi.

Sotto il sole di maggio che dà un anticipo d’estate, nel parco antistante il ministero guidato da Carlo Nordio, arriva infatti anche la senatrice, che racconta la telefonata d’inizio anno con Rita Faraglia. «Ero in treno, richiamai Rita una volta arrivata a casa, Matteo non c’era più».

Cucchi: «In carcere? Una strage»

Ilaria Cucchi non ha poi mezzi termini. «Per le carceri e i detenuti Nordio non fa nulla - dichiara - Eppure i nostri penitenziari sono sovraffollati, stracolmi e al collasso. Il personale è sottodimensionato e se c’è molto spesso non è formato. I numeri - dice ancora - sono impietosi: un suicidio ogni due giorni dall’inizio dell’anno. È una strage». Da gennaio a oggi, di fatti, i suicidi in carcere sono stati trentaquattro - trentacinque con quello di ieri 15 maggio nel carcere di Taranto - e altri quattro quelli di personale della polizia penitenziaria. Nel solo 2023 sono stati in totale sessantanove.

Anche Marisa Dal Corso, sorella di Stefano, il ragazzo del Tufello il cui caso fu subito bollato come suicidio, è presente al sit-in ed enumera le «incongruenze di quel maledetto 12 ottobre 2022 nel carcere ad Oristano»; poi ci sono i fratelli di Andrea Di Nino. «Quel giorno in cui mio fratello Andrea si sarebbe impiccato, il 21 maggio 2018, aveva chiamato mia madre per chiederle un cambio d’abiti in vista dell’udienza che avrebbe avuto. Al momento c’è un processo in corso».

La denuncia delle associazioni

Le associazioni prendono parola a poco a poco. Ognuna denuncia il sistema carcere, quello che prova i detenuti di diritti, prerogative, dignità. Tra di esse anche l’associazione che questo momento lo ha organizzato, “Sbarre di zucchero” la quale, da Verona, lotta per chi è recluso nei penitenziari del Paese. «Sembra proprio che queste morti ancora non riescano a scuotere le coscienze di governo e ministero. Da Roma vogliamo risposte, risposte concrete», dice Marco Costantini dell’associazione.

Costantini, insieme all’altro referente Giorgio Pittella, passa in rassegna anche tutte le ulteriori problematiche che caratterizzano i luoghi di reclusione. Non solo decessi. «Celle piene all’inverosimile, in violazione di qualsiasi norma sulla salvaguardia dei diritti umani, carenza di agenti, educatori e medici, tribunali di sorveglianza ingolfati, con conseguenti ritardi enormi nell’evasione delle istanze che potrebbero, in parte, alleggerire il sovraffollamento sono il sintomo – chiosa Costantini - di un sistema penitenziario fallimentare, chiaro a tutti tranne a chi ha la responsabilità ed il potere di legiferare per porre definitivo rimedio a questo scempio».

Il 18 maggio intanto la Conferenza nazionale dei garanti territoriali delle persone private della libertà personale ha organizzato mobilitazioni in tutta Italia per accendere un faro sulle problematiche del carcere.

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