«Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con qualsiasi altro nome conserverebbe sempre il suo profumo». Giulietta, rivolgendosi al suo amato Romeo nell’omonima celebre opera di Shakespeare, segnala che le persone e le cose conservano la loro identità al di là delle convenzioni con cui le identifichiamo.

Con molta meno poesia il fatto che la Lega nord abbia tentato di cambiare nome, in taluni casi lo abbia persino fatto, e che si sia proposta quale partito della nazione e post-ideologico, non ne nasconde l’essenza. Non basta per superare la natura, il carattere ontologico, genetico, di partito regionale, regionalista e di estrema destra.

La Lega nord è nata per l’intuito di Umberto Bossi sull’asse dell’anti meridionalismo e dell’anti centralismo, puntando a sfruttare la frattura tra centro e periferia, ove ovviamente Milano rappresentava la periferia politica, non essendolo sul piano economico e finanziario. Le oscillazioni programmatiche, alleanze, proposte, e leadership che dal 1991 hanno segnato la vita politica e parlamentare del partito non hanno però mai messo in discussione il tratto identitario: l’avversione per il sud.

A volte i toni sono stati mitigati, il senatore della Repubblica Matteo Salvini ha tentato di celare il carico di rancore e risentimento che il suo partito ha per decenni alimentato, avventurandosi in complimentosi atti di riguardo per i manicaretti della tradizione regionale post borbonica. Una manovra di corto respiro ché invece la svolta avrebbe implicato scuse formali, pubbliche, per la contumelia contro i terroni, “Roma ladrona” e il lassismo dei cittadini extra lombardoveneto.

Non dico inginocchiarsi come Willy Brandt, ma quantomeno rinnegare il precedente approccio razzista, con parole, opere e omissioni. E invece, nonostante le illusioni di troppi, il tratto nordista, anti nazionale e anti statale del partito permane, perché nessuno ha inteso modificarlo. Il bagaglio ideologico della Lega nord è intriso del tratto originario che lo vincola indissolubilmente al territorio da cui è giunta sul proscenio.

Il partito ha prima sostenuto l’Europa delle regioni per poi lanciare strali contro Bruxelles e abbandonare non già la moneta unica quanto la prospettiva federalista, ossia di unificazione di paesi per secoli combattutisi. L’euroscetticismo infatti spiega molto del consenso al partito.

Ne consegue l’asse con i satrapi dell’est Europa, i nazionalisti di ogni risma e la ferocia del darwinismo sociale. La difesa dell’interesse del paese è solo bieca facciata elettorale. Prima il nord, lo slogan della campagna elettorale regionale di Maroni nel 2010, dimostra che le radici sono salde e profonde. E infatti gli attacchi alla leadership del partito vertono proprio sul “tradimento” delle origini.

Nulla cambia

Le recenti dichiarazioni del deputato europeo Ciocca sul peso sociale dei cittadini lombardi che meriterebbero prima di altri il vaccino Covid non devono sorprendere. La Lega nord è così. È questa la sua natura, le sue radici, da trent’anni. E nessuna smentita radicale verrà dalla leadership che non può rischiare di perdere consensi al nord.

Negli ultimi anni la Lega si è abbeverata alla protesta, alla giusta disperazione di molti elettori del sud, ma è stata solo una cinica mossa elettorale. Sia al governo che all’opposizione, quando si è trattato di scelte cruciali, si è infatti preoccupata esclusivamente del nord.

In varie importanti realtà amministrative (Bologna, Torino, Venezia, Milano), i gruppi consiliari mantengono orgogliosamente la dicitura “Lega nord”. Qualcosa vorrà dire. Dice innanzitutto che il partito guidato pro tempore dal senatore Salvini, eletto in Calabria per caso e poi transitato per caso nel Lazio (era candidato in cinque circoscrizioni), rimane saldamente una formazione regionale e regionalista. Le sue roccheforti sono, rimangono e torneranno a essere, le aree prealpine, le valli bergamasche, il Veneto e la Lombardia profonda. E il sud rimarrà una chimera perché gli elettori meridionali sono volatili (anche un po’ volubili) e la ventata nazionale ha gambe di argilla, senza pensiero, senza prospettiva. Prima gli italiani, ma scegliendo bene tra i garantiti del nord.

Il partito è anche di estrema destra, come dimostrano le posizioni su politiche migratorie, i diritti civili e le relazioni internazionali. Le intemperanze in parlamento sono lo specchio dei tempi grami, gravi, orridi culturalmente e socialmente. La Lega nord in questo non è peggio di una parte di italiani, anzi li rappresenta. Il triste manifestarsi di comportamenti poco istituzionali è diffuso e non limitato alla Lega, intendiamoci. I leghisti però ne fanno un tratto distintivo. Da quando l’onorevole Leoni Orsenigo da Cantù ha mostrato un cappio indirizzato ai banchi del governo.

Esistono alcuni che vedono nelle seconde linee, quali il presidente della giunta regionale del Veneto, Luca Zaia, il futuro del partito. Un futuro fatto di esponenti meno truci. È una pia illusione. I modi in taluni casi sono meno inurbani e compassati, ma l’essenza non muta. La Lega nord del 1991 non è troppo diversa dalla Lega Salvini del 2020. Il partito muta nome da includere nei manuali ma, e Shakespeare sarebbe d’accordo, non “l’odore” che emana. Un partito dal nord, del nord e per il nord.

 

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