Siamo proprio sicuri che la palese inadeguatezza della classe dirigente di Fratelli d’Italia sia un handicap per Giorgia Meloni, una palla al piede nel suo progetto di dominare la “nazione”? Io credo che le cose stiano diversamente. Nella cultura politica dell’estrema destra non esistono gli intellettuali collettivi, esistono i capi. In un dato momento storico, il capo deve essere sempre e solo uno. E non deve avere rivali.

Se le cose stanno così, l’inettitudine della classe dirigente post missina è perfettamente funzionale al primato di Meloni. È rassicurante per la premier il fatto di essere circondata da cofondatori del partito che scherzano su via Rasella e che tengono il busto del Duce in casa, da ministri nei guai per la gestione delle proprie aziende, da parlamentari che sparano all’impazzata la notte di Capodanno, e via elencando.

In qualche caso, i comprimari vengono sacrificati per realizzare i disegni del capo, che prende in questo modo due piccioni con una fava. È quello che è successo con il prode Delmastro, esposto alle attenzioni della magistratura e al fuoco nemico dell’opinione pubblica per poter attaccare frontalmente in parlamento il Partito democratico.

La padrona

Immancabilmente, quando qualcuno di FdI ne combina una più o meno grossa, la gente (spesso anche quella di sinistra) si dice: povera Giorgia, lei così brava, circondata da incapaci e gaffeur! In questo ragionamento si omette di osservare che quegli inetti li ha scelti lei.

Ha scelto lei di dare a costoro delle posizioni di primo piano, ha scelto lei di rinunciare ad avvalersi della collaborazione di uomini e donne di maggior spessore intellettuale e morale, e lo ha fatto perché nessuno potesse farle ombra, perché nessuno potesse insidiare il suo primato, la sua posizione apicale di supremo conducător. Quando nell’orbita del partito entrano persone autorevoli come il ministro Nordio, la prima mossa della premier è quella di metterli in un angolo, di confinarli in un cantuccio, ridimensionandoli.

È in questa cornice di ricerca dell’assoluta supremazia che va compreso anche il familismo. Nella conferenza stampa Meloni ha dichiarato che poteva «mettere» sua sorella in una partecipata statale, e invece l’ha «messa a lavorare» nel «partito suo». La padrona, quella che decide, è Giorgia, e Arianna fa quel che Giorgia decide. E questo vale per tutti gli altri membri della famiglia.

Un partito carismatico

Fratelli d’Italia è un partito carismatico, nato dalla visione e soprattutto dalla personalità di una sola persona. Da questo punto di vista, FdI è Giorgia Meloni esattamente come il fascismo è stato Benito Mussolini. Per averne conferma, si faccia un confronto con il partito di Salvini.

La Lega ha avuto un capo carismatico ed è stato Umberto Bossi. Salvini guida il partito da molti anni, ha per molti versi imboccato un’altra strada rispetto a quella indicata dal Senatur, ma la sua leadership è continuamente minacciata dai vari Fedriga, Zaia, Giorgetti, tutte personalità autorevoli che potrebbero occupare degnamente la carica di segretario del partito.

Per questo la Lega sopravviverà a Salvini, mentre è molto difficile che FdI sopravviva a Meloni. Renzi aveva provato ad assumere lo stesso ruolo nel Pd, ma quello è un partito con un altro carattere, un’altra costituzione originaria e non potrà mai divenire la forza di uno solo.

In un partito carismatico, chi collabora con il vertice è sempre in una posizione precaria, è sempre e solo un gregario perennemente esposto alla minaccia di essere epurato, fatto fuori, messo da parte. Il capo vuole che i membri del suo cerchio magico siano deboli e incapaci in modo da poter ribadire che la loro sorte è appesa a un filo, che tenerli in vita politicamente dipende solo da lei e dalla sua magnanimità d’animo, dalla sua tolleranza per le loro stupidaggini.

Tutti costoro possono anche covare risentimento verso il capo (quello che molti gerarchi fascisti nutrivano nei confronti del Duce), detestarlo e disapprovarne molte scelte, ma sanno che le loro fortune dipendono solo dalla volontà di chi sta al vertice, e quindi sono costretti, per non perdere le posizioni acquisite e per sperare di averne di nuove, a far sempre buon viso a cattivo gioco, a esaltarne le magnifiche virtù, a lodarne indefessamente il genio.

In questa luce, quell’«io non sono ricattabile» pronunciato nella conferenza stampa postnatalizia non ha un destinatario preciso e significa in realtà «io non accetto limiti al mio potere», non voglio rispondere a nessuno, amico o nemico che sia, di quel che dico o faccio, se non al popolo nel momento della quinquennale rituale incoronazione. Con i capi carismatici funziona così. Non aspettiamoci rivoluzioni che non avverranno.

© Riproduzione riservata