Il campo progressista passa sotto silenzio il riconoscimento dell’Unesco. Per non elogiare il governo Meloni, che invece giustamente esulta. Ma così rischia di rompere nella propria cultura il già sottile filo che lega presente, passato e futuro
La cucina italiana è diventata patrimonio dell’umanità Unesco. Le varie destre e il governo italiano (la presidente Meloni e ministri in testa) hanno subito scatenato il consueto populismo, ricordando che a tavola siamo i primi al mondo. Invece le voci progressiste sono sembrate assenti, o quasi.
Infatti, tra centinaia di comunicati stampa sul tema, ne ho trovati pochissimi riconducibili alla sinistra. C’è quello del parlamentare eletto all’estero, che elogia i nostri ristoranti nel mondo. Poi quello di alcuni parlamentari che si aspettano (giustamente) più diritti per i lavoratori impegnati in agricoltura. Poco d’altro.
Cuochi e camerieri
Mi sono così domandato perché non siamo propensi, salvo eccezioni, a farci sentire parte e sostegno di quei milioni di italiani che trovano soddisfazione e riconoscimento, pur anche solo nelle mura domestiche, nelle loro abilità culinarie. E perché non vogliamo celebrare, pur indirettamente, la bravura delle centinaia di migliaia di cuochi e camerieri del nostro Paese.
Insomma, mentre la destra esalta la “nostra tradizione gastronomica che si consuma nelle famiglie”, la sinistra (specie il nuovo corso progressista del Pd) sembra sorvolare sulla convivialità, sulle ricette della nonna, su quanto è bello mangiare insieme le cose buone.
Si dirà, anzitutto, che ci sono cose sicuramente ben più importanti, su cui la buona politica può ancora fare molto. Forse non si è voluto dare risalto a un presunto successo del governo. Potrebbe poi esserci del pudore: sono cose che attengono a sfere private e familiari. Oppure le si considera troppo banali, o troppo poco pubbliche o economiche. Eppure la dimensione relazionale nelle nostre vite vale almeno come quelle che riconoscono diritti di libertà, o diritti individuali, o diritti sociali.
La casalinga campionessa
Ma c’è un elemento ulteriore che va considerato, quello della tradizione, in questo caso gastronomica. Cioè di quel saperi e di quelle pratiche che si sono tramandati e raffinati nei secoli, fino a diventare, nel nostro caso, quel patrimonio straordinario riconosciuto nel mondo. Agli occhi di alcuni progressisti, talvolta (non sempre per fortuna) le tradizioni sembrano non avere valore. E invece, come ricorda la filosofa spagnola María Zambrano, «le radici sono più grandi dei rami che vedono la luce».
Così, la casalinga di Voghera oggi si sentirà anche lei un po’ campionessa. Premiata da Meloni, nel prevalente disinteresse, forse anche un po’ spocchioso, di chi pensa che il popolo si aspetti solo uguaglianza. Mentre esso desidera - prima o anche - di sentirsi parte di una storia, di una comunità, di una terra, di buone tradizioni. Tutte cose contenute nelle mille ricette della cucina italiana.
Insomma, chi vuol passare per indomito progressista rischia di rompere il già sottile filo che lega presente, passato e futuro. Riuscirà tutta la sinistra, prima o poi, a comprenderlo?
*ex parlamentare - direzione nazionale Pd
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