Molti celebrano la prudenza del governo Meloni sui conti pubblici, dopo la presentazione della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, cioè la cornice nella quale verrà disegnata la legge di Bilancio 2023. Eppure la situazione è  più fosca di come sembra a leggere certe analisi.

Si dice che sono state “liberate” risorse per 25 miliardi, ennesimo eufemismo ipocrita dei media italici per evitare l’espressione “nuovo deficit e dunque nuovo debito”.

Il prossimo anno il ministero del Tesoro dovrà rinnovare 270 miliardi di titoli di debito a media e lunga scadenza; poi ci sono circa 140 miliardi di Bot che, avendo durata annuale, vanno continuamente rifinanziati; il fabbisogno da finanziare previsto era già di ulteriori 70 miliardi a cui se ne aggiungono 25 di maggiore deficit.

Il ministero dovrà quindi reperire sul mercato circa 500 miliardi di euro, cifre analoghe a quelle del 2020 (quando si facevano decreti ristori e aiuti ogni mese per decine di miliardi) ma a condizioni molto peggiori.

I tassi di interesse fissati dalla Bce non sono più a zero, ma al 2 per cento, mentre gli acquisti di titoli di Stato si stanno riducendo. Inoltre il nuovo meccanismo anti-frammentazione Tpi lega il ricorso a protezioni future al rispetto di obiettivi molto ambiziosi su riforme e Pnrr.

Il governo Meloni ha poi ridotto il tasso di crescita tendenziale del Pil, quello che si registrerebbe senza interventi, allo 0,3 per cento ma ha alzato il programmatico allo 0,6.

Peccato che quei 25 miliardi di deficit non bastino a finanziare alcuna misura espansiva, ma soltanto gli aiuti alle bollette di famiglie e imprese per qualche mese. E il Pil non cresce soltanto perché le bollette restano stabili.

Quello 0,6, insomma, potrebbe facilmente trasformarsi in uno zero o passare addirittura in territorio negativo, con l’inizio di una recessione.

Il sentiero di crescita percorso durante il governo Draghi, per un misto di circostanze favorevoli e buona amministrazione, si è interrotto proprio mentre le condizioni finanziarie diventano più sfavorevoli e mentre la Bce è costretta dall’inflazione ad alzare i tassi di interesse, col rischio di scaricare le tensioni sui punti più fragili del sistema.

Abbiamo avuto un assaggio di quello che rischiamo con la mezza crisi finanziaria in Gran Bretagna, prodotto di una lunga catena di reazioni, non soltanto degli errori dell’ex premier Liz Truss.

I conti presentati dal governo Meloni, insomma, certificano già l’impossibilità di realizzare le promesse contenute nel programma elettorale del centrodestra e la fragilità dell’Italia in un mondo stretto tra inflazione e recessione.

Nessuno, nella compagine di governo, ha il curriculum e l’esperienza per gestire una situazione così complessa.

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