Credo sia necessario tornare sulla vicenda del ministro della Difesa Guido Crosetto anche per comprendere quali siano le idee del nuovo governo quando si tratta di interpretare e applicare la Costituzione (articolo 54, la “disciplina” e l’ “onore” nello svolgimento delle cariche pubbliche), le leggi ordinarie e i principi di etica pubblica e di buona politica.

I fatti sono noti: Guido Crosetto, dopo diversi andirivieni tra incarichi di governo e interessi privati, ha svolto attività, soprattutto di lobbying, nel settore della difesa.

Di recente ha abbandonato le cariche nell’Aiad, associazione di categoria delle imprese della difesa e dello spazio e le cariche nelle imprese di cui era titolare.

A pochi giorni da questo allontanamento dagli interessi fino ad allora curati, è stato nominato ministro della Difesa.

Il ministro Crosetto prima ha minacciato querele, impropriamente perché sollevare il problema non necessariamente significa dubitare della personale onestà del nominato, ma dell’opportunità della nomina, nel suo interesse e nell’interesse delle istituzioni e della loro imparzialità.

Poi si è difeso sulla base della normativa vigente, sostenendo che in essa non ci sono norme che la impediscono. Un documento del ministero della Difesa ribadisce, con vari argomenti, la legittimità della nomina.

La legge col buco

La nomina è formalmente legittima, ma il ministro non può non sapere che ciò dipende dalla estrema lacunosità di una normativa, la legge 215 del 2004 (nota come “legge Frattini”), scritta ob torto collo dalla maggioranza di centro destra di allora, con il primario obiettivo di evitare il conflitto di interessi che avvelena la politica italiana da trent’anni, quello di Silvio Berlusconi.

Le lacune maggiori della legge: accanto a cause di incompatibilità apparentemente severe, nessuna carica in società aventi fini di lucro o in attività di rilevo imprenditoriale; nessuna attività professionale o di lavoro autonomo, come le attività lobbistiche, in «materie connesse con la carica di governo» (art. 2), è previsto un blando dovere di astensione dalla partecipazione «all’adozione di un atto, anche formulando la proposta», quando l’atto «ha un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare del coniuge o dei parenti entro il secondo grado ovvero delle imprese da essi controllate»; il dovere di astensione si impone solo quando è ipotizzabile un «danno per l’interesse pubblico» (art. 3). Un danno peraltro difficile da accertare.

Se il dovere di astensione non è rispettato non ci sono conseguenze sul titolare della carica pubblica (sul ministro), ma solo sull’impresa che abbia approfittato dell’atto adottato in conflitto di interessi.

Dati questi limiti si comprende perché il documento del ministero si precipiti ad assolvere preventivamente il ministro dall’ipotesi di decisioni che configurino un possibile danno, anche futuro: Crosetto, nel suo precedente lavoro «ha perseguito obiettivi del tutto convergenti con quelli pubblici, rafforzando le capacità delle imprese e la conseguente competitività internazionale mediante la promozione dell’industria italiana della Difesa all’estero».

Quello che non si dice è che è tipico delle attività di lobbying convincere il decisore pubblico che l’indirizzo e le soluzioni (magari gli armamenti) proposti sono nell’interesse pubblico.

Formalismi

Il documento, poi, sostiene che il ministro della Difesa non potrebbe essere in conflitto di interessi perché «non partecipa in alcun caso all’adozione di atti idonei ad incidere sul suo patrimonio o su quello del coniuge o dei parenti, in quanto del tutto privo di poteri e funzioni negoziali», che sono affidati in parte al Capo di Stato maggiore della Difesa e in parte al Segretario generale.

Argomenti, ancora, di tipo formale, perché trascurano il potere di indirizzo del ministro, che può anche non adottare gli atti, ma può influenzarne il contenuto.

Altrimenti non si comprende perché la legge Frattini preveda un’incompatibilità successiva: per dodici mesi dal termine della carica di governo il titolare non può ricoprire cariche  in “società aventi fini di lucro che operino prevalentemente  in settori connessi con la carica ricoperta” (art. 2, comma 4).

 Una norma che tiene conto dei rapporti sostanziali, che ritiene che un ministro può esercitare comunque un ruolo nelle decisioni negoziali del suo ministero.

I vincoli ai dirigenti

Il ministro Crosetto non può ignorare che la prevenzione del conflitto di interessi per i dirigenti del suo ministero (dal segretario generale ai dirigenti generali, fino ai dirigenti di secondo livello) è molto più rigorosa.

Oltre a un regime di incompatibilità, vi sono norme che rendono gli incarichi dirigenziali inconferibili per «coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto  incarichi e  ricoperto  cariche  in  enti  di  diritto  privato  regolati o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che  conferisce  l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività professionali,  se  queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite  dall'amministrazione  o ente che conferisce l'incarico» (d.lgs. n. 39 del 2013).

Ai dirigenti del suo ministero, se provenienti da incarichi privati in settori connessi con lo svolgimento dei loro incarichi, quindi, non è possibile accedere alla carica, mentre chi si trova nella medesima situazione di provenienza può fare, immediatamente, il ministro.

Ricordiamo anche che i dirigenti del suo ministero si devono astenere per il solo fatto di essere in conflitto, perché questo, di per sé, fa dubitare della imparzialità della decisione assunta, indipendentemente dal danno che ne può derivare.

Di fronte alle macroscopiche manchevolezze della disciplina attuale trincerarsi dietro la sua formale legittimità non rimuove il permanere di problema, etico e politico, legato alla nomina.

Una nomina, come ha riconosciuto lo stesso Crosetto a pochi giorni dal giuramento nelle mani del presidente della Repubblica, altamente inopportuna. Che fa dubitare della volontà dell’attuale maggioranza di portare a termine l’opera di revisione della legge Frattini, interrotta dalla fine della legislatura.

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