Se quello di Mario Draghi di ieri fosse stato il tradizionale discorso di fine anno del presidente della Repubblica, chi si occupa di clima non potrebbe che festeggiare. Un protagonista della vita politica italiana parla lungamente di riscaldamento globale, lo fa in un contesto di grande attenzione mediatica e descrivendo in modo netto alcune delle conseguenze del fenomeno. Una novità nel nostro paese. 

«Il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili» ha detto Draghi. E non finisce qui. L’ex presidente della Banca centrale europea ha indicato la devastazione degli ecosistemi come probabile causa della pandemia da Covid-19; ha parlato di rinnovabili, trasporto elettrico, adeguamento all’obiettivo comunitario di zero emissioni nette al 2050. In conclusione ha citato i giovani, invitandoli all’evento Youth4Climate che l’Italia organizza nell’ambito della Cop26, i negoziati sul clima delle Nazioni Unite. La frase «vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta» è già stata indicata da molti come il whatever it takes del riscaldamento globale.

Un grande passo avanti, insomma, se si fosse trattato di un tradizionale discorso del presidente della Repubblica. Ma ieri mattina al Senato non ha parlato una figura istituzionale e super partes come il presidente Mattarella, e Draghi non aveva il compito di indicare valori o generiche priorità del paese. Il presidente del Consiglio doveva spiegare a eletti ed elettori come agirà il suo governo, che obiettivi si pone e come intende raggiungerli. Niente di tutto questo, purtroppo, è emerso dal discorso di ieri mattina.

Cosa farà con il metano?

Il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) prevede di puntare massicciamente sul gas fossile come combustibile di transizione, rimandando il necessario passaggio alle rinnovabili. Draghi intende correggere il tiro o continuerà sulla strada tracciata dai suoi predecessori? L’uomo europeo per eccellenza saprà rispettare ciò che - seppur insufficiente - ci chiede l'Europa? Ora che si trova dall’altra parte, adotterà i target di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 così come pensati dalla Climate Law comunitaria? Non ci è dato saperlo. 

L’Italia elargisce ogni anno decine di miliardi (diciotto nelle stime più benevole, trentacinque secondo alcune associazioni ecologiste) in Sussidi ambientalmente dannosi (Sad). Draghi ha un piano per cancellarli? E se sì, in quanto tempo? E come eviterà che la loro eliminazione si traduca in un danno economico per le fasce più deboli della popolazione, com’è avvenuto in Francia ai tempi dei gilets gialli? Anche qua, il tema non è stato toccato dal presidente incaricato.

Il capitolo Eni

C’è poi il gigantesco capitolo dell’Eni, multinazionale del fossile controllata dallo stato italiano che figura tra i trenta più grandi emettitori a livello mondiale. Il nuovo esecutivo avrà la forza di imporgli una radicale conversione, di cambiare il suo core business da petrolio e gas a sole e vento? Di nuovo silenzio.

La lista delle domande senza risposta sarebbe lunga. Sussidi agli allevamenti intensivi, mobilità sostenibile, grandi opere, decentralizzazione delle produzione elettrica, stop a trivelle e dorsali del metano sono solo alcuni dei temi - fondamentali - sui quali non sappiamo come intenda muoversi il nascente governo Draghi. I deputati che si apprestano a  votargli la fiducia lo faranno a scatola chiusa, apprezzando magari il cambio di tono sulla questione climatica ma senza poter contare su nessun impegno preciso.

I ministri

In assenza di riferimenti chiari, siamo costretti a dedicarci ad attività al limite del cabalistico. Come interpretare questa o quell’altra frase? Cosa significherà quella o quest’altra nomina? I passaggi citati sopra lascerebbero sperare in un cambio di passo rispetto al passato. La squadra di governo presentata pochi giorni fa un po’ meno. Unico ministro con un passato di impegno sul clima è Enrico Giovannini, già presidente dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile è ora a capo di Infrastrutture e Trasporti. Non è altrettanto incoraggiante il pedigree di Roberto Cingolani, responsabile del neonato ministero per la Transizione Ecologica. Oltre a dirigere un dicastero oggettivamente debole rispetto alle aspettative (di fatto è un rebranding del vecchio Ministero dell’Ambiente con in più la delega all’energia) niente nel suo passato lascia intuire una competenza particolare nel campo del contrasto alla crisi climatica. Anzi, nelle sue poche dichiarazioni sul tema Cingolani indica il gas come combustibile su cui puntare ed evidenzia i limiti delle rinnovabili. Non il massimo per chi dovrebbe portare l’Italia sulla strada delle emissioni zero entro pochi anni. Pessimo segno, infine, la nomina di Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo Economico, dicastero fondamentale per la transizione ecologica ora affidato ad un esponente della Lega che, in passato, si era abbandonata a posizioni a là Trump.

I proclami non bastano

Sentire parole nette sulle crisi climatica - seppure ancora lontane da quelle usate da scienziati e attivisti - è sicuramente una piacevole novità. Ma chi ha ricevuto l’incarico di guidare l’Italia non può limitarsi a proclami e frasi ad effetto, anche se condivisibili. La transizione deve avvenire ora, deve essere radicale e deve essere pagata da chi ha l’ha provocata e continua a guadagnarci. Qualunque discorso, mozione, atto pubblico che non includa target precisi e cifre sostanziose è e resterà sempre “too little e too late”, troppo poco, troppo tardi. 

Esopo raccontava di un tale che, di fronte all’atleta che si vantava di aver saltato da un piede all’altro del colosso di Rodi, rispose «Hic Rhodus, Hic Salta», «Questa è Rodi, salta qua». Presidente Draghi, lei è nella condizione di dimostrarci con chiarezza quali siano le sue intenzioni per quanto riguarda la crisi climatica. Hic Rhodus, Hic salta.

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