Al primo turno conquistare i propri elettori con un richiamo identitario, e al ballottaggio avere una postura presidenziale». Così François Mitterrand teorizzava il comportamento e la strategia da adottare per vincere le presidenziali francesi al netto dei vincoli e delle opportunità del doppio turno nazionale con ballottaggio.

Nel 1972 il Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup) non ha raggiunto il quoziente in nessuna circoscrizione e i suoi 700.000 mila voti non gli hanno garantito rappresentanza, mentre Democrazia proletaria, con mezzo milione di preferenze, ha conquistato un gruppetto di parlamentari.

I sistemi elettorali sono implacabili. Le norme, la logica e il funzionamento determinano in quota parte l’esito delle elezioni. Non in forma automatica, diretta e lineare, ma certamente sono un veicolo che accompagna e agevola le dinamiche elettorali.

Partiti, candidati ed elettori

L’insieme delle regole elettorali agisce come forte strumento avente effetti meccanici e piscologici, come definiti dallo scienziato politico e costituzionalista francese Maurice Duverger. Il sistema elettorale dispiega i suoi esiti su partiti, candidati ed elettori.

I partiti agiscono, o dovrebbero agire, seguendo il perimetro della legge elettorale nella misura in cui, ad esempio, scelgono candidati con maggiori caratteristiche personali “evidenti” in un contesto maggioritario, ovvero ove sia necessario raccogliere voti di preferenza o personali.

Analogamente i candidati moduleranno la propria azione di campagna elettorale in base alla necessità di esporsi per cercare il consenso personale o individuale oppure di percorrere in forma marcata il percorso del richiamo al voto identitario partitico, come succede nel caso di liste chiuse e bloccate.

Infine, ma non per ultimi, gli elettori tenderanno a cogliere le opportunità e ad assecondare i vincoli del sistema al fine di massimizzare l’efficacia del proprio voto. In un contesto di maggioritario con ballottaggio, ad esempio, al primo turno ciascun elettore punterà a esprimere un voto di appartenenza-identitario sostenendo il partito a esso più prossimo. Viceversa, nel turno finale, gli elettori tenderanno a massimizzare l’utilità marginale della propria scelta decidendo di premiare il candidato meno distante dalla prima preferenza al fine di evitare la vittoria del candidato meno gradito. Volgarmente richiamato come “voto utile”, si tratta di un voto tecnicamente strategico.

Il Rosatellum

La legge elettorale Rosato, pur avendo una quota doppia di seggi allocati attraverso il metodo proporzionale rispetto a quelli maggioritari (2/3 contro 1/3), è strutturalmente legata a una logica sostanzialmente maggioritaria. L’elettore può esprimere un solo voto, senza preferenze, con il quale contribuisce a selezionare il vincitore uninominale, indicando un partito e/o un candidato. La stessa scelta determina le percentuali dei singoli partiti (i voti al singolo candidato si redistribuiscono proporzionalmente tra tutti i partiti a esso collegati).

Nel caso di specie, dunque, i concorrenti potenziali capaci di competere effettivamente per un seggio erano due e due soltanto. Tale limite invalicabile è stabilito da una ferrea legge logico-statistica, per la quale il numero dei contendenti plausibili è uguale alla somma del numero di seggi da allocare nel collegio più uno: ergo due nei contesti uninominali. Il sistema è dunque, da questo punto di vista, assai costringente. Induce, spinge e predilige i partiti medio-grandi in grado di competere per la conquista dei seggi all’uninominale, ossia abili nel raccogliere almento attorno al 35 per cento.

Nel 2022 i partiti hanno gestito in modo assai diverso tra loro le costrizioni poste dal sistema elettorale. Se è vero che i voti di partiti che hanno concorso separatamente non possono sommarsi automaticamente, è plausibile ritenere che una buona parte di essi si sarebbero fusi allorché ci fosse stata un’alleanza organica soprattutto tra forze ideologicamente non distanti.

Alleanze e cartelli elettorali

È il caso, almeno sulla carta, di centrosinistra e “terzo polo”, che insieme registrano 34 per cento, con il totale dei partiti diversi dalla destra-centro che raggiunge quasi il 50 per cento dei voti espressi. Stante le difficoltà politiche, e personali, per costruire una alleanza ampia, va registrata la tattica di Matteo Renzi e Carlo Calenda abili a non produrre una coalizione tra i loro due partiti per evitare che la soglia di sbarramento da superare fosse del 10 per cento mentre, proponendo un cartello, hanno sostanzialmente presentato una lista.

Il Pd e il M5s hanno invece partecipato separatamente pertanto vanificando ogni velleità nei collegi uninominali e deprimendo la spinta proporzionale che ne sarebbe seguita, sebbene fosse oggettivamente complicato contrarre un’alleanza tra forze che avevano una netta differenza circa il sostegno al governo Draghi.

+Europa non ha superato la soglia del 3 per cento (anche se ha chiesto un riconteggio dei voti visto che si è fermato al 2,9 per cento), ma ha comunque eletto alcuni parlamentari nei collegi uninominali proprio perché in coalizione. Al contrario i consensi alla lista capeggiata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio sono stato letteralmente cestinati perché sotto la soglia dell’1 per cento: si fossero uniti in una lista-cartello con Emma Bonino avrebbero tratto mutuo vantaggio.

Eclatante il caso della lista capeggiata da Maurizio Lupi, Noi moderati, che ottiene 7 deputati proprio grazie alle candidature nell’uninominale di suoi esponenti, pur rimanendo – come la lista di Di Maio – sotto l’1 per cento; e avrà più parlamentari alla Camera di Calenda.

Sovrarappresentazione

Tra i 141 seggi assegnati alla Camera attraverso il sistema uninominale il centrodestra ne ha vinti 121, il centrosinistra 12 e il Movimento 5 stelle 10. Nessuno il cartello Azione/Italia viva. Se queste tre forze fossero state unite la partita all’uninominale sarebbe stata diversa. Non necessariamente a favore del centro-sinistra, ma qualche decina di seggi sarebbe stata contendibile.

Rimane che la divisione, tecnicamente, al netto delle idiosincrasie, delle tattiche, delle scelte dei singoli e dei partiti, ha frustrato le possibilità di vittoria del centrosinistra. E la logica del sistema elettorale ha scaricato anche sul versante proporzionale le proporzioni del voto degli uninominali.

Il sistema elettorale premia i partiti medio-grandi, sfavorisce le corse solitarie ed esclude le forze al di sotto del 3 per cento. Inoltre, la riduzione del numero di parlamentari ha aggiunto un elemento di dis-proporzionalità. Il centro-destra e i suoi partiti sono sovrarappresentati (60 per cento rispetto al 44 per cento dei voti), con la Lega che raccoglie il 16 per cento dei seggi pur con la metà dei voti e Forza Italia il 12 per cento con poco più dell’8 per cento.

Il Pd è tra le forze sottorappresentate, con il 16 per cento dei deputati a fronte del 19 per cento dei consensi, al pari dei Verdi/Sinistra, con il 2,7 per cento della rappresentanza rispetto a un punto in più raccolto nelle urne. Stessa dinamica penalizzante per il terzo polo (5,3 per cento di seggi rispetto al 7,8 per cento di voti) e per il partito guidato da Giuseppe Conte che conquista un ottavo dei deputati mentre tra l’elettorato ha quasi il 16 per cento.

Strategie errate

La legge elettorale, e in particolare il sistema di traduzione dei voti in seggi fotografa, come diceva Giovanni Sartori, la situazione e il formato del sistema politico, come il livello di frammentazione, ad esempio. Tuttavia, agendo su alcune leve può intervenire per amplificare o ridurre alcune tendenze, contenendo la spinta di partiti troppo piccoli, sovrarappresentando quelli medio-grandi ovvero conferendo rappresentanza anche alle minoranze geografiche.

Pertanto, cogliere il senso del sistema elettorale è essenziale. È accaduto che nel 2001 la Lega nord è andata sotto la soglia del 4 per cento di voti su base nazionale, ma ha ottenuto comunque 30 deputati proprio in virtù dell’alleanza nella Casa della libertà e della vittoria nei collegi uninominali del nord. Nello stesso contesto, invece, con lo stesso numero di voti e la stessa percentuale, Italia dei valori guidata da Antonio Di Pietro non ha eletto nessuno, proprio per una cattiva interpretazione della legge elettorale e di una conseguente errata strategia. I partiti, le coalizioni e i loro rispettivi leader hanno giocato in forma differenziata durante questa tornata elettorale, interpretando per scelta o per destino in maniera autonoma le regole del sistema di elezione dei parlamentari. La divisione del centro-sinistra è risultata esiziale e ha condizionato fortemente l’esito finale.

Le responsabilità sono diffuse, ma le tecnicalità parlano chiaro e non lasciano dubbi sul risultato in termini di rappresentanza, accresciuta per la destra e depressa per il centro-sinistra nel suo complesso. Inoltre, ma non per ultimo, il sistema elettorale, combinato con la riforma costituzionale ha inciso potentemente sulla qualità democratica del rapporto fra eletto ed elettori.

Collegi uninominali con estensione geografica da far west, popolazione nei collegi alla Camera di quasi mezzo milione e impossibilità di coltivare un rapporto tra candidato ed elettore. Con effetti esiziali per la responsabilità, la rendicontazione di ciò che l’eletto farà (o non farà) nonché l’esplosione dei costi. La qualità della rappresentanza ne risente. Il prossimo parlamento non modificherà il sistema elettorale. Forse.

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