Denigrati e rimpianti, ricercati se assenti e ingombranti se presenti, gli intellettuali vivono un ruolo ambiguo nel dibattito pubblico. Da un lato se ne deplora la mancanza, dall’altro se ne critica la presunzione.

Franco Brevini lamenta la perdita di autorità degli intellettuali (e di ogni forma di elevazione culturale) indotta dalla democratizzazione social (Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali?, Raffaello Cortina, 2021). Walter Siti, invece, si fa beffe dell’intento moralizzatore degli scrittori che intendono la letteratura al servizio di cause progressiste (Contro l’impegno, Rizzoli, 2021). Sono lontani i tempi in cui l’alternativa per la vocazione intellettuale era esaurita da una scelta esistenziale tra lo specialismo e l’impegno politico a tutto campo.

Questo posto vuoto ha recentemente non solo perso l’aura che sembrava appartenere alla categoria, ma si è anche visto scalzare da un’altra categoria che pare essere più utile al pubblico odierno: l’esperto. Qual è il rapporto tra queste due figure?

Gli esperti

La questione è più spinosa e meno verbale di quanto sembri. L’esperto è solitamente una persona che vanta una competenza specifica (ad esempio, in virologia, economia, o strategia militare), mentre la figura tradizionale dell’intellettuale godeva di una considerazione più trasversale.

Non è che l’intellettuale fosse necessariamente privo di competenze specifiche (si pensi ad esempio a Umberto Eco) ma la sua presenza pubblica non le richiedeva poiché ci si aspettava uno sguardo più ampio sulla società che sapesse travalicare l’eventuale specialismo.

Il problema è che negli ultimi anni è sembrato che le questioni cruciali (ad esempio, la pandemia, la crisi economica, la catastrofe climatica) richiedessero competenze tecniche inaccessibili non solo alla maggior parte della popolazione ma anche agli intellettuali tradizionali, solitamente provenienti da ambiti letterari e di scienze umane. L’intellettuale vecchio stile sembra essere sparito, come emerge dalla discussione nell’ultimo numero della rivista il Mulino.

Così come è avvenuto per l’intellettuale, l’esperto è stato oggetto di richieste impossibili da soddisfare. Il pubblico ha alternato fasi di rifiuto populistico a fasi emergenziali in cui all’esperto è stata data carta bianca. Come detto da Gianfranco Pellegrino su queste pagine, negli ultimi anni molti hanno invocato la soluzione degli esperti (i “tecnici”) in maniera acritica e deresponsabilizzante.

Se gli esperti (ad esempio, i virologi, gli economisti, i climatologi) possono dare un quadro fattuale della situazione e indicare percorsi, probabilità e vincoli, al pubblico democratico tocca scegliere con autonomia la strada preferibile, tenendo assieme elementi fattuali e valori.

Competenze

Ma la pandemia ha accentuato la tendenza già in atto di proliferazione ambigua dell’esperto. Talvolta è diventato un personaggio televisivo e social. Alla comprensibile visibilità di alcuni esperti si è contrapposta la popolarizzazione di figure estreme di intellettuali. La dicotomia tra Roberto Burioni e Giorgio Agamben, ovvero tra l’esperto tecnico divenuto star comunicativa e l’intellettuale che pecca di presunzione incompetente, ha soffocato la possibilità di discutere pubblicamente.

I dubbi legittimi sono stati fagocitati dal complottismo astratto e si è ridotto lo spazio per discutere di scelte pubbliche da una posizione intellettualmente informata senza necessariamente essere specializzata. Non è qui il caso di deplorare le tendenze spettacolarizzanti di questa dinamica. Bisogna, invece, chiedersi che spazio l’intellettuale possa avere al giorno d’oggi. In breve, l’intellettuale di oggi deve necessariamente essere esperto?

Superiorità

Senza invocare il ritorno nostalgico di figure largamente mitizzate, di cui Pier Paolo Pasolini è l’emblema più citato, e senza presupporre che l’intellettuale debba essere uno specialista tecnico, bisogna partire da un aggiustamento delle aspettative. Così come non è sensato pretendere che l’esperto risolva da solo tutti i problemi, poiché i problemi tecnici richiedono anche decisioni politiche e morali, analogamente è irrealistico attendersi che l’intellettuale giochi il ruolo della coscienza morale superiore. È sbagliato aspettarselo perché l’esercizio di questo ruolo presuppone il riconoscere uno status di superiorità.

Un pubblico democratico maturo, invece, dovrebbe essere in grado di elaborare le decisioni collettive come insieme di deliberazioni tra cittadini uguali. Ciò non vuol dire presumere che ogni opinione sia ugualmente vera o valida, come il populismo nostrano ha tragicamente mostrato. Se al giudizio dell’esperto deve essere riconosciuto nell’àmbito specifico un valore epistemico diverso dai giudizi dei profani, non si deve pensare che l’esperto debba avere nel dibattito pubblico uno status deliberativo superiore agli altri membri informati del pubblico. Analogamente l’intellettuale, senza essere un esperto tecnico, può contribuire alla deliberazione pubblica con uno sguardo trasversale ma non superiore.

Costruzione di un intellettuale

Non ci si deve quindi aspettare che l’intellettuale svolga la funzione critica di guida morale operata da un piedistallo, così come non ci si deve aspettare che l’intellettuale abbia una risposta su ogni questione. Aspettarselo è l’anticamera della creazione dell’intellettuale tuttologo televisivo o dell’intellettuale sacerdotale che presume di vedere i destini del mondo ed è incapace di leggere il bollettino dei contagi.

Ciò vuol dire, piuttosto, aspettarsi che l’intellettuale sappia riformulare il dibattito pubblico in maniera più chiara, mostrando le incoerenze di diverse posizioni, illuminando il non detto o i tabù, o delineando delle possibili vie di evoluzione della società.

Sia l’esperto sia l’intellettuale sono figure che vanno costruite pubblicamente in una sorta di divisione del lavoro culturale. Così come l’esperto è tale solo in un àmbito specifico, e contribuisce a un pezzo di produzione di conoscenza assieme ad altri esperti in altri ambiti, l’intellettuale può lavorare a livello di elaborazione generale del discorso pubblico, per esempio riflettendo sulle categorie che vengono usate in maniera irriflessa.

La costruzione dell’intellettuale deve quindi essere frutto di interazione tra l’intellettuale e il pubblico, cioè il risultato di uno scambio tra le parti, senza presumere che l’intellettuale sia già presente nella sua torre d’avorio e debba essere interpellato per entrare nelle dinamiche di personalizzazione dei social media.

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