Martina Oppelli è morta in Svizzera il 31 luglio 2025, dopo oltre vent’anni di convivenza con una forma avanzata di sclerosi multipla. Aveva chiesto per tre volte alla propria azienda sanitaria di accertare i requisiti per accedere, in Italia, al suicidio medicalmente assistito previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019. Le richieste sono state tutte respinte, perché la sua condizione - completamente immobile e dipendente da terzi - non veniva ritenuta compatibile con il requisito del sostegno vitale.

Eppure, la sentenza n. 135/2024 della stessa Corte ha chiarito che anche l’assistenza continuativa, i farmaci salvavita e dispositivi come catetere o macchina per la tosse costituiscono trattamenti di sostegno vitale. Anche un presidio rifiutato, se necessario per funzioni essenziali, è da considerarsi un trattamento in corso.

Nonostante questo quadro giuridico, Martina Oppelli si è vista negare il diritto all’autodeterminazione. Abbiamo presentato opposizione legale e una diffida all’azienda sanitaria, ma la nuova valutazione medica con relazione e parere del comitato etico non è arrivata in tempo. «Non ho più tempo, le mie sofferenze sono diventate insopportabili», ha detto nel suo ultimo video.

Con l’aiuto di volontari dell’Associazione Soccorso Civile e il sostegno di 31 persone, ha intrapreso un viaggio lungo e doloroso per poter morire dignitosamente in Svizzera. Un atto di libertà, ma anche la denuncia di una grave ingiustizia.

Prima della partenza, Martina Oppelli ha voluto depositare una denuncia-querela contro l’ASUGI presso la procura di Trieste, per due reati: rifiuto di atti d’ufficio e tortura.

Si evidenzia nell’esposto che Martina è stata vittima di un trattamento inumano e degradante, costretta a convivere con un dolore estremo e con il continuo diniego all’unica via legale per porre fine alla propria sofferenza pur avendo le condizioni previste dalla sentenza Cappato del 2019 e chiarite nel 2024 con sentenza 135 della Corte costituzionale. La denuncia evidenzia una condotta istituzionale crudele, che ha ignorato evidenze cliniche e la dipendenza da dispositivi salvavita, abbandonandola senza alternative.

Martina Oppelli ha subito non solo la malattia, ma anche il rifiuto di una commissione sanitaria che non ha mai riconosciuto la sua situazione alla luce delle pronunce costituzionali. Una mancata presa d’atto che rischia di essere letta come valutazione clinica non fondata in base all’evidenza provata.

Chiedeva solo che fosse rispettato il suo diritto all’autodeterminazione, sancito dalla Costituzione e confermato dalla Corte nella sentenza Cappato. Il suo appello ai parlamentari, “fate una legge che abbia senso”, è oggi più attuale che mai.

Con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo depositato al Senato una proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare tutte le scelte di fine vita. Il testo è stato abbinato a una proposta della maggioranza che invece rischia di limitare diritti già acquisiti. Serve una legge giusta, che rispetti ogni persona, ogni dolore, ogni scelta. Il fine vita riguarda tutte e tutti: non può essere lasciato alla forza residua di chi soffre.

© Riproduzione riservata