La Cop26 ha rafforzato la lotta globale contro il cambiamento climatico. Eppure, il mondo rimane ancora su una traiettoria di un aumento della temperatura globale di 2,4°C sopra i livelli preindustriali entro la fine del secolo. Questo non rappresenta una buona notizia, in quanto la scienza ha reso abbondantemente chiaro che per evitare le conseguenze più drammatiche del cambiamento climatico, l’umanità deve mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C.

Per promuovere una più incisiva azione sul clima, la presidenza tedesca del G7 ha posto in cima alla propria agenda la promozione di un Club del clima “cooperativo e aperto”. Si tratta di un’iniziativa importante e promettente, i cui benefici potenziali potrebbero essere notevolmente aumentati incanalandone i dividendi sul carbonio verso le nazioni più povere, per sostenere la loro transizione verde.

Ma andiamo per ordine. Per Club del clima si intende un circolo di nazioni alleate nel rafforzare il proprio percorso di decarbonizzazione, che altresì decidano di attuare delle misure commerciali per proteggersi dal rischio di delocalizzazione delle proprie imprese verso Paesi che, stando al di fuori del Club, non tassino il carbonio o non seguano rigide regole ambientali.

A lungo discussa nei circoli economici, l’idea del Club del clima ha recentemente preso slancio dopo che l’Unione europea ha cominciato a disegnare un proprio meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (nell’acronimo inglese, Cbam), ovvero una tassa sulle importazioni di alcuni beni sulla base del loro contenuto di carbonio equivalente alla tassazione domestica.

Originariamente concepito attorno all’introduzione di vere e proprie sanzioni commerciali, il Club del clima potrebbe oggi trovare concreta realizzazione proprio sulla base di Cbam, essendo questo un meccanismo compatibile con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

La mancanza di leadership

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Politicamente, ciò che è necessario per formare un Club del clima è una forte leadership. Nel 2021, il Regno Unito si è impegnato a mettere questo punto al centro della sua presidenza del G7, ma questa visione alla fine non si è concretizzata. Ma i tempi potrebbero ora essere maturi, in quanto la Germania è decisa di fare di un Club del clima “cooperativo e aperto” un elemento centrale della sua presidenza del G7.

Le basi sono identiche: i membri lavorano su una tabella di marcia comune per ridurre le emissioni e introducono congiuntamente un Cbam per evitare che l'industria si sposti in regioni con ambizioni climatiche inferiori. Inoltre, cooperano sulla trasformazione dei loro settori industriali, per stabilire un mercato internazionale di punta per materiali e prodotti rispettosi del clima. In questo modo, i pionieri della politica climatica eviteranno uno svantaggio competitivo nel mercato internazionale a causa dei loro sforzi per il clima, soprattutto quando si tratta di industrie ad alta intensità energetica.

Allo stesso tempo, la proposta tedesca prevede un club aperto ad altri che possono unirsi e avere un forte appeal per emulare il modello a livello globale. L’affascinante effetto collaterale: l'accordo di Parigi rimarrebbe la spina dorsale del regime climatico globale - ora integrato da un meccanismo che permette ad alcuni paesi di fare da apripista con azioni determinate e ambiziose.

Tuttavia, è imperativo per qualsiasi Club del clima essere all’altezza dell’imperativo della giustizia climatica. Questo imperativo deriva dall'accordo di Parigi, che si basa sul principio delle responsabilità comuni ma differenziate: mentre tutti i paesi devono assumersi la responsabilità di combattere la crisi climatica globale, è necessario riconoscere le differenze significative nei livelli di sviluppo economico e in termini di emissioni storiche di carbonio.

Per un Club del clima che rispetti il principio della responsabilità comune ma differenziata, e che sia dunque all'altezza dell'imperativo della giustizia climatica, è quindi indispensabile sostenere le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo nella loro transizione verso un futuro a basse emissioni di carbonio. La proposta tedesca accenna ad aiutare le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo a diventare potenzialmente membri del club del clima, ma rimane vaga sulla questione.

A nostro avviso, la via da seguire è quella di utilizzare pienamente gli introiti del Cbam per fornire aggiuntivo supporto finanziario (nel gergo, finanza per il clima) ai Paesi in via di sviluppo. Tale meccanismo, che potremmo definire di dividendi internazionali sul carbonio, potrebbe rappresentare un elemento centrale di un Club del clima aperto, cooperativo e giusto.

Proprio come le tasse nazionali sul carbonio, le misure di Cbam possono in effetti colpire i Paesi del Sud del mondo in maniera più dura rispetto ai Paesi sviluppati. E siccome a livello nazionale i dividendi del carbonio possono essere visti come gli elementi fondanti di un contratto sociale verde, le entrate di Cbam possono rappresentare lo stesso a livello globale. In mancanza di ciò, i ricchi finiranno per tassare i poveri del mondo. Questo non solo è inaccettabile da un punto di vista etico. Rischia anche di scoraggiare il tanto necessario sostegno delle nazioni del Sud del mondo all'azione internazionale per il clima. E questo è esattamente il motivo per cui le entrate ottenute dal Cbam devono essere utilizzate come dividendi internazionali sul carbonio.

Chiaramente, questo deve venire in aggiunta all’esenzione dei paesi meno sviluppati o dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo dal Cbam. Infatti, le entrate del Cbam possono essere destinate in parte proprio ai paesi che hanno meno responsabilità per il cambiamento climatico, mentre allo stesso tempo soffrono di più dei suoi impatti. Per esempio, le entrate del Cbam potrebbero in parte alimentare un futuro “Loss and Damage Facility” come quello proposto a Glasgow, e ora in discussione nel 2022, per compensare i paesi colpiti dall'aumento del livello del mare.

Le speranze nel prossimio G7

Lo slancio per un Club del clima è forte. L’Ue, il Canada e il Giappone stanno pianificando le loro iniziative di aggiustamento delle frontiere del carbonio. Il Regno Unito è un forte sostenitore dell'idea del Club del clima. E negli Stati Uniti, i legislatori democratici hanno già avanzato proposte simili a quelle dell’Ue. Sotto la leadership tedesca, il G7 potrebbe essere in grado di portare avanti un Club del clima già nel 2022.

Tuttavia, lo sforzo non deve fermarsi al G7. Invece, la conversazione dovrà essere rapidamente portata avanti nel G20. In particolare, sarà di fondamentale importanza cooptare la Cina. Senza il suo forte impegno il mondo non sarà, infatti, in grado di raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo.

Il mondo è a un bivio. Dobbiamo trovare nuovi modi per stimolare l'azione globale per il clima e affrontare il problema del free-riding che deriva dal fatto che i costi della politica climatica sono in gran parte nazionali, mentre i benefici sono globali. Chiaramente, l'accordo di Parigi deve rimanere il pilastro centrale dell'azione climatica globale. Ma il mondo ha bisogno di misure complementari per accelerare gli sforzi sul clima.

Durante la sua presidenza del G7, la Germania ha un’importante occasione di dare una forte spinta per un Club del clima che, attraverso un sistema di dividendi internazionali sul carbonio, possa rafforzare sia il processo globale di decarbonizzazione, sia la giustizia climatica globale.

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