- Non possiamo provare patimento al posto di un altro, ma esiste un dolore universale che è parte della natura umana e che si trasforma in empatia verso chi soffre: è un grido silenzioso che supplica "non farmi del male”.
- Ma cosa accade a questo dolore universale quando le vittime acquistano un volto, mostrandosi radicalmente diverse da noi? Sorge un paradosso che dobbiamo affrontare: da un lato vogliamo proteggere l’autenticità delle identità, dall’altro auspichiamo un universalismo di valori.
- Ma esiste un'alternativa: considerare il radicale antagonismo al dolore come un elemento che appartiene a tutte le culture. Allora l’universalismo diventa la ricerca comune della risposta a una domanda: come possiamo unire le nostre diverse lotte in uno sforzo contro il dolore dell’ingiustizia?
Il dolore vive in un terreno sacro: lo spazio dove ciascuno lo porta con sé. Possiamo dibattere sulle cause che lo hanno inflitto, cercare di limitarlo, di capirlo. Ma nessuno, tantomeno la politica o la filosofia, possono raccontarci il lamento di una madre che vede il figlio affogare a pochi metri dalla salvezza. Sarà più facile incasellare la sofferenza nella statistica, farla diventare un numero, in cui presto si trasformeranno persino i morti di Cutro. E invece è un “grido silenzioso”, com



