I diritti sono proclamati, ma nessuno ce li regala. Sono promesse armate con la forza delle costituzioni e delle buone leggi; vivono nel rischio permanente di essere traditi. Questo vale soprattutto per un diritto di seconda generazione come il diritto al lavoro, uno di quei diritti che cambia nella sua attuazione in relazione alle condizioni economiche e al rapporto tra le forze sociali; in relazione alla potenza del movimento dei lavoratori che deve per primo presidiare questo diritto insieme alle forze politiche vicine. «Se nella società non succede niente anche i diritti più elementari si perdono» scriveva Norberto Bobbio.

La forza del movimento dei lavoratori si misura dalla sua capacità di animare un senso di attenzione da parte dei governi e delle forze sociali rivali. Si misura dalla capacità di saldare l’unità interna al mondo del lavoro, sui temi dei salari, della precarietà, della sicurezza sul lavoro, degli interventi a sostegno di chi non ha un lavoro (perchè come sanno anche gli sprovveduti, il lavoro non lo si inventa, lo si cerca). L’unione del mondo del lavoro non piace alle forze di destra. Non solo perchè osteggiano la contestazione e predicano l’unità della nazione (quale nazione?) sotto la direzione dell’esecutivo, ma anche perchè le forze sindacali possono essere una sfida palese.

Destra e lavoratori

Il governo di destra non ama essere sfidato e nemmeno ama dar conto in corso d'opera. Vuole evitare la strada della concertazione che identifica come segno di debolezza. Decidere e poi pubblicizzare con telenovele. Questo piano funziona se e quando il sindacato è debole; e la sua debolezza è un obiettivo del governo; questo è il senso dell’umiliante convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi quando già il decreto lavoro era stato deciso. Umiliare per debilitare. Fare in modo che il sindacato giochi di rimessa, che chieda e che speri – la strategia è di renderlo deferente verso il governo. La risposta non può che essere di riaffermazione della forza unitaria propositiva e attiva, al di là delle futili questioni sugli aggettivi di genere e sulla guerra che fanno tanto comodo all’audience del governo.

Il Primo maggio ha dato prova di questa strategia dell’umiliazione: mentre il sindacato festeggia con concerti e attrazioni televisive, il governo Meloni approva il “decreto lavoro”. Il sindacato dà il palco ai media e il governo si occupa di lavoro: questa lettura suggerita da Giorgia Meloni non è una provocazione ma una strategia molto ben studiata e che mira, a quanto pare con successo, a prendendersi la scena sul tema che più definisce il sindacato. Come quando dal palco del congresso della CGIL, lei ha nei fatti dettato le sue regole e messo in ombra l’intero congresso. Restava alla fine solo lei. E così è con questo Primo maggio celebrato in una forma che ne ha stemperato la forza politica.

 

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