«I dati più recenti dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali», ha dichiarato ieri Sergio Mattarella in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, ci dicono purtroppo che il «cammino da percorrere contro le discriminazioni è ancora lungo».

Troppi, ha proseguito il presidente della Repubblica, «vittime di episodi di bullismo a causa del proprio orientamento sessuale, di violenze, spesso consumate nel silenzio degli ambienti familiari, vivono nel timore di poter essere se stessi. Contrastare ogni forma di emarginazione è un dovere sancito dalla Costituzione, rafforzato dagli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale. Un principio che deve vivere nella realtà quotidiana, patrimonio comune che deve vedere il coinvolgimento attivo, consapevole e responsabile di ciascuno».

Il tema della giornata in questione (il potere delle comunità), ha concluso Mattarella, «richiama al valore del vivere insieme, con rispetto. Una comunità inclusiva sa di dover proteggere le differenze per costruire una società più giusta e più coesa, ampliando così la libertà di tutti».

Il papa e la famiglia

Proprio venerdì papa Leone XIV, nell’udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva detto: «È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate. Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, “società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società”» (la citazione è tratta dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII, il predecessore elettivo del neopontefice, promulgata il 15 maggio 1891).

Da una parte la comunità inclusiva di Mattarella, e il riferimento a violenze omofobiche «spesso consumate nel silenzio degli ambienti familiari», dall’altra la stracca riproposizione ultraconservatrice, con tanto d’invito al governo ad assumersi il preciso compito di tutelarla, di una famiglia «fondata sull’unione stabile tra uomo e donna».

Bergoglio la pensava allo stesso modo, non illudiamoci, ma non avrebbe mai detto ciò che ha detto Prevost nel modo in cui l’ha detto. È d’altronde un papa, quello attuale, che sull’“ideologia gender” e sulle coppie omosessuali è molto più vicino a Trump di quanto si creda.

Se poi consideriamo, stando ai dati ultimamente raccolti dal servizio telefonico gratuito Gay Help Line 800713713, gestito da Gay Center, che il 41,6% all’incirca di chi ha contattato quel numero verde ha subito violenze (fisiche o psicologiche) proprio nel contesto familiare (è invece intorno al 17% la percentuale di quelli cui i genitori hanno tolto ogni aiuto economico), il papa dovrebbe allora spiegarcela quella «società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società», che sarebbe la famiglia attuale.

«Trentacinque anni fa l’Organizzazione mondiale della Sanità», ha affermato ancora Mattarella, «decise di rimuovere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, ponendo così fine a una classificazione insensata e segnando l’inizio di un cambiamento culturale e sociale sulla strada della pari dignità dei cittadini». Il 17 maggio del 1990, infatti, l’Oms definì la condizione omosessuale una «variante del comportamento umano». Prima di quella storica decisione, nel nostro paese, eravamo messi piuttosto male ancora negli anni Ottanta. Nella seconda metà di quel decennio, nella settima edizione di una “garzantina”, si poteva ancora sostenere che l’omosessualità fosse un «disturbo psichico determinato principalmente dall’ambiente» (Robert E. Rothenberg, Enciclopedia della Medicina, Milano Garzanti, 1987 [ediz. orig.: 1959], p. 311). Un disturbo naturalmente curabile, alla bisogna, con un’apposita “terapia”.

Una lunga storia

Nell’Italia omofoba e perbenista del secondo dopoguerra, fino a quasi tutti gli anni Sessanta, l’attrazione per una persona del proprio sesso, quando non rappresentava un problema, era ancora ampiamente ragione d’innesco di logiche persecutorie. Nel 1949 il giovane Pier Paolo Pasolini, allora insegnante a Valvasone (PN), venne espulso dal Pci per essersi intrattenuto con quattro minorenni della zona e, interrogato dai carabinieri, aver ammesso il reato contestatogli di atti osceni in luogo pubblico (nel gennaio 1950 sarebbe stato condannato, con due delle “vittime”, a tre mesi di reclusione). Nel 1968 lo scrittore, drammaturgo, ex partigiano Aldo Braibanti, accusato di plagio nei confronti di un giovane, venne condannato a nove anni di carcere. Che fosse un omosessuale, agli occhi di chi lo giudicò, costituì circostanza aggravante.

Il periodo a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta fu anche quello in cui cominciò a prendere piede la commedia all’italiana. Il nuovo genere, come nella migliore tradizione uranista o “urnigia”, risalente a Magnus Hirschfeld (1868-1935), a Karl H. Ulrichs (1825-1895) e agli altri teorizzatori di un “terzo sesso” attratto dagli eterosessuali, ritraeva la diversità sessuale (con l’avallo di una comunità gay che vestiva volentieri gli abiti di un’iperfemminilità provocatoriamente rivendicata ed esibita) nelle forme di una notoria stereotipizzazione, nei film impersonati da Totò (L’imperatore di Capri, 1950; Totò a colori, 1952) o nei numerosi altri che si potrebbero menzionare (Papà diventa mamma, 1952; Il più comico spettacolo del mondo, 1953; Costa Azzurra, 1959; Gli Onorevoli, 1963; Parigi o cara, 1964; ecc.).

Nemmeno Fellini resistette alla tentazione, et pour cause, riversando una buona dose di luoghi comuni sulla gaytudine nel Pierone in dolcevita del film omonimo. L’effeminatezza dell’omosessuale nostrano, d’altronde, si sposava benissimo con quella spesso – e a più riprese – rimproverata all’italiano tout court, in quanto paradigmatico esponente del carattere mediterraneo (oltreché di quello orientale): l’italiano protettivo o infingardo, sentimentale o mammone di Montesquieu e Madame de Staël, di Cesare Balbo e Vincenzo Gioberti, in tanto versato nell’arte della seduzione in quanto refrattario a quella militare.

Ancora negli anni Settanta e Ottanta sarebbero state piuttosto rare le incarnazioni “serie” (alla Mastroianni, per intenderci, grande protagonista di Una giornata particolare) di quel che si sarebbe continuato a rappresentare come un pittoresco “vizietto”. I distributori italiani tradurranno i film della saga Tognazzi-Serrault Il vizietto (1978); Il vizietto II (1980); Matrimonio con vizietto (Il vizietto III) (1985) – l’originale francese, rifatto sull’omonima opera teatrale di Jean Poiret, suonava invece come la “casa delle pazze”: La cage aux folles: I, II e III –, anche in questo caso rispecchiando fedelmente una inveterata tradizione nazionale.

Già nel Seicento vizio italiano era sinonimo di sodomia. Nel 1749, in un pamphlet inglese si descrive il Bel Paese come «la Madre e la Nutrice della Sodomia [...] dove il Padrone intriga con il paggio più spesso che con una graziosa dama» (Michael Sibalis, Omosessualità maschile nell’età dei Lumi e delle rivoluzioni. 1680-1850, in Robert Aldrich, Vita e cultura gay. Storia universale dell’omosessualità dall’antichità a oggi, Venezia, Cicero, 2007 [ediz. orig.: 2006], p. 103). Quasi un secolo prima, riferendosi a Londra, Samuel Pepys, politico e scrittore, aveva sostenuto «di aver sentito dire nel 1663 che “la sodomia è comune tra i nostri elegantoni quasi quanto in Italia e sono proprio i paggi della città a lamentarsi dei loro padroni per questo”» (ibid., p. 104).

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