Sull’ergastolo ostativo, martedì si materializzerà un primo probabile scontro tra il governo e la Corte costituzionale. I giudici verificheranno se la nuova disciplina ha eliminato il vizio che rendeva la vecchia illegittima. La presunzione assoluta di pericolosità dei mafiosi condannati all’ergastolo, dalle stragi di Capaci in poi, cadeva solo in caso di collaborazione con la giustizia. In mancanza, nessun condannato avrebbe avuto la speranza della libertà.

Il peccato originale

Il peccato giuridico della norma era stato disvelato più volte. Prima la Corte di Strasburgo poi la Corte costituzionale avevano ritenuto il “fine pena mai” un trattamento disumano, in contrasto con la funzione rieducativa della pena (articolo 3 Cedu e 27 della Costituzione). Non potendo riscrivere la norma, i nostri garanti avevano sollecitato un intervento del parlamento, rimandando per ben due volte la decisione di annullare la norma. Ora il governo ha provveduto, anzi, ha giustificato il ricorso a un decreto legge eterogeneo – tra le altre cose punisce i rave party e riabilita i medici e gli infermieri no-vax – proprio per l’esigenza di rispondere alle sollecitazioni della Consulta e di farlo prima dell’udienza dell’8 novembre.

Cambiare per non cambiare

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La nuova disciplina è problematica. È contenuta in un decreto legge precario in attesa di conversione e, quindi, suscettibile di essere modificato dalle camere. Allunga la durata della carcerazione, da 26 a 30 anni, decorsi i quali il reo può chiedere di avviare la procedura per accedere al beneficio della libertà condizionata.

Sono soprattutto le condizioni, alternative alla collaborazione, che dovrebbero permettere il fine pena, ad apparire per molti motivi insormontabili. Molte autorevoli voci hanno sottolineato, a ragione, che il decreto trasforma la precedente presunzione assoluta di pericolosità in una prova impossibile di non pericolosità.

Se così fosse saremmo di fronte a una classica truffa delle etichette: anche se le parole della regola cambiano, nella sostanza nulla è cambiato. E, allora, la Corte costituzionale potrebbe colpire questa nuova disciplina, annullandola, sferrando così un duro colpo alla credibilità del governo?

Quel che impedisce di decidere

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Questo ennesimo pasticcio normativo potrebbe sfuggire alla mannaia della Consulta. E, forse, almeno per ora, non sarebbe un male. Provo a spiegarlo in modo semplice, anche se la cosa è molto complicata. Un cavillo procedurale potrebbe impedire ai giudici di decidere subito: si chiama “rilevanza”. Il decreto legge, infatti, ha cambiato l’oggetto del giudizio di costituzionalità: non più la vecchia e illegittima norma sull’ergastolo ostativo, ma, al suo posto, la nuova disciplina probatoria per accedere alla libertà condizionata. La corte dovrebbe spogliarsi della questione. O forse no.

Si troverà piuttosto a un bivio: o trasferire il giudizio dalla vecchia alla nuova norma, o restituire gli atti al giudice che le ha sottoposto la questione di costituzionalità sulla vecchia norma. I presupposti sono diversi. Il trasferimento della questione, da una disposizione all’altra, è rarissimo, possibile solo se identico è il contenuto normativo di entrambe. Non è il nostro caso, perché il decreto ha riscritto la disciplina. La seconda alternativa, invece, si impone, come adesso, quando interviene una nuova regola sulla materia: la Corte costituzionale si spoglia della questione, rimettendo al giudice di merito di valutare se permangono o meno i dubbi di costituzionalità, nonostante le nuove norme.

Evitare il conflitto

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Passare la palla al giudice ordinario è un atto dovuto, dunque, ma non un dramma. Consentirebbe alla Consulta di evitare, oltre a un conflitto col governo oggi inopportuno, alcune insidie. Quella di pronunciarsi, come detto, su un decreto non ancora convertito, e di cimentarsi su una disciplina sospetta ma solo ipoteticamente di incostituzionalità, mancando riscontri empirici in tale senso. Restituire gli atti permetterebbe di guadagnare il tempo necessario alla conversione in legge del decreto e, in più, darebbe al giudice del caso concreto il compito di valutare se il nuovo testo codifica effettivamente una probatio diabolica. In caso affermativo – ed è molto probabile che ciò accadrà – la questione ritornerebbe al vaglio della Consulta, che così avrebbe tutti i titoli, processuali e sostanziali, per giudicare nel merito, smascherando e annullando la truffa del nuovo ergastolo ostativo.

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