«Seduti in qualche caffè parigino, una Gauloise fra le dita e un Pernod sul tavolino; rifugiatisi nella loro casetta per il fine settimana su un lago tedesco; raggruppati in vocianti tavolate che criticano aspramente uno qualsiasi dei governi latino-americani; ad un congresso fra colleghi politologi e sociologi in una ridente località balneare esotica; partecipando alla riunione di redazione di un quotidiano progressista romano, molti pensosi intellettuali dei più vari tipi dichiarano con faccia triste e sconsolata che la democrazia è in crisi, è una causa persa, non può essere salvata.

Rannicchiati in qualche prigione cinese; agli arresti domiciliari nel Sud-Est asiatico; braccati dalla polizia in diversi stati africani; nascosti sotto protezione perché è stata lanciata una fatwa contro di loro; malmenati in Piazza Tahrir, migliaia di oppositori, uomini, donne, studenti, lottano in nome della democrazia – sì, proprio quella, occidentale, che hanno visto in televisione e nei film americani, sperimentato come studenti a Oxford, Cambridge, Harvard, La Sorbona, Bologna – organizzano attività, reclutano aderenti, qualche volta mettono in gioco consapevolmente la propria vita. Per nessun altro regime, mai, così tante persone di nazionalità, di cultura, di colore, di età e di genere diverso si sono impegnate allo stremo».

Sono particolarmente affezionato a questo ritratto di quasi dieci anni fa (Politica e istituzioni, Milano, Egea, 2014) che ritengo mantenga tutta la sua validità aggiungendo fra i combattenti per la democrazia i giovani di Hong Kong e le donne iraniane e afghane.

Sono anche convinto che non pochi lettori lo condividano in buona misura e che, forse, altrettanti vorrebbero obiettare.

In democrazia ne hanno facoltà. Altrove, qualora ci provino, siano consapevoli dell’alto costo che implica esercitare quello che in democrazia è la libertà di parola.  

La sfida alle democrazie

   Da quando scrissi quei paragrafi, qualcosa di grave ha fatto la sua comparsa, non tale da dare per superata la contrapposizione da me allora delineata, ma certamente da richiedere osservazioni specifiche aggiuntive.

Abbiamo assistito a due sfide lanciate dall’interno di due sistemi politici diversamente democratici: gli assalti al Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2021 (Jill Lepore, docente di Storia all’Università di Harvard, ne ha mirabilmente scritto nel settimanale The New Yorker analizzando impietosamente l’appena reso noto Rapporto della Commissione d’Inchiesta su quei fatti) « al Planalto di Brasilia l’8 gennaio 2023 (che si merita e avrà altrettanta attenzione). Che cosa provano sulla democrazia?

Per una ampia parte dei commentatori la valutazione sembra essere fin troppo facile, lapalissiana: c’è una crisi della democrazia.

Un’altra parte di commentatori, apparentemente meno numerosa, sostiene, invece, che siamo difronte alla prova provata che le democrazie sanno reagire con successo anche alle sfide più minacciose. Nelle mie parole, le democrazie riescono a rimbalzare.

 Le sfide nascono dal cattivo funzionamento delle democrazie esistenti, da problemi contingenti, dai sottovalutati comportamenti delle élite, politiche, economiche, religiose, militari, da difetti congiunturali se non, addirittura, strutturali.

Più di trent’anni fa, il grande sociologo politico spagnolo Juan Linz aggiunse all’elenco delle inadeguatezze delle Repubbliche presidenziali quella dell’elezione popolare diretta del presidente che consente e facilita la discesa in campo di candidature a vario titolo folkloristico, difficili da fermare, esagerate nelle loro promesse, impreparate a governare. Non c’è bisogno di elaborare.

Quel che importa è che sono libere elezioni quelle che selezionano le candidature.

Military police stand in front of the National Congress building during an abortive protest announced by supporters of former President Jair Bolsonaro, in Brasilia, Brazil, Wednesday, Jan. 11, 2023. Despite being widely announced by social media, the protests did not take place and did not have supporters of the former president. (AP Photo/Gustavo Moreno)

I politici di professione ne accettano gli esiti poiché vogliono mantenersi aperta la strada ad un ritorno anche dopo una sconfitta. I parvenu temono che la loro sconfitta produca la loro definitiva emarginazione.

Dunque, si aggrappano ad ogni elemento per restare a galla. L’accusa di “furto elettorale” ai loro danni è oramai lanciata addirittura prima del voto.

Lo ha fatto Donald Trump negli Stati Uniti; lo ha seguito Bolsonaro in Brasile. Facile immaginare altre emulazioni future. Giusto, pertanto, andare a valutare la qualità della democrazia elettorale.

Dalle loro regole e procedure scaturisce la democrazia politica che andrà poi sostenuta da una rete di diritti e di istituzioni.   

Cos’è la democrazia

Per sfuggire dalla confusione analitica e dalla manipolazione politica che viene effettuata sul concetto e sull’essenza della democrazia, due riflessioni sono cruciali sulla scia del più grande studioso della democrazia, Giovanni Sartori (1924-2017). La prima riguarda la definizione.

Non è corretto accettare l’idea falsamente generosa che a ciascuno è consentito di avere la sua definizione di democrazia.

Esiste una modalità definitoria convincente che è fatta di etimologia e di storia che soddisfa l’esigenza di chiarire cos’è la democrazia politica: regole, procedure, istituzioni, diritti e doveri (Democrazia. Cosa è, Milano, Rizzoli, 2007).

Alla democrazia politica non si possono appioppare aggettivi che ne contraddicono la natura: democrazie guidate, popolari, autoritarie, illiberali.

Ognuno può avere la sua democrazia ideale e la può usare come metro di valutazione per le democrazie realmente esistenti. La democrazia ideale continua ad essere senza nessun bisticcio un ideale perseguibile e perseguito.

Le democrazie reali, realmente esistenti ne rappresentano le traduzioni pratiche possibili e, naturalmente, criticabili per le loro inadeguatezze che non necessariamente, anzi, solo, raramente, meritano di essere caratterizzate come “crisi” (della democrazia).

Democrazia e uguaglianza

La seconda riflessione è diventata ancora più attuale in anni recenti. Riguarda il rapporto che può/deve intercorrere fra democrazia e eguaglianza.

Per Sartori l’unica eguaglianza necessaria in democrazia è quella di fronte alla legge: isonomia. È eguaglianza di diritti, civili e politici, in assenza dei quali non c’è possibilità di democrazia poiché alcuni cittadini conterebbero più di altri.

L’eguaglianza “democratica” di Sartori non è mai eguaglianza di esiti né economici né, più in generale, di condizioni. Non è neppure eguaglianza di opportunità se non sotto forma di rimozione di ostacoli (impropri) alla partecipazione politica.

Al proposito mi sembra importante aggiungere che fra le molte promesse secondo lui non mantenute (ma che a suo parere non si potevano mantenere) della democrazia, Norberto Bobbio non menziona mai l’eguaglianza (Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi 1984, 1991).

Semmai, per Bobbio l’eguaglianza ovvero, meglio, il perseguimento della eguaglianza (anche sotto forma della riduzione delle diseguaglianze esistenti) è il criterio, la stella polare dell’azione politica della sinistra, di coloro che si collocano a sinistra.

Aggiungo che è comunque da evitare qualsiasi sottovalutazione del rischio che l’attacco alle diseguaglianze possa essere portato da leadership populiste, come spesso è accaduto nelle Repubbliche presidenziali latino-americane, con esiti non-democratici.  

Non nutro aspettative ottimistiche sul ri-orientamento della discussione sulla democrazia/sulle democrazie con riferimento a quanto scritto da Bobbio e da Sartori, da me variamente sintetizzato e reinterpretato.

Rimango del tutto convinto che in assenza di un qualche ri-orientamento serio e profondo, a cominciare dalla chiarezza dei concetti e dalla problematica relazione fra democrazia politica e eguaglianza economica, quella discussione è destinata a continuare in maniera confusa e manipolabile, persino pericolosa nella misura in cui legittima elaborazioni e azioni che nuocciono alla democrazia che è possibile instaurare, mantenere, fare funzionare, trasformare in meglio.

Propongo di ripartire da due generalizzazioni. I regimi autoritari cadono al grido di “libertà, libertà”. Nessuna democrazia è mai caduta al grido di “eguaglianza, eguaglianza”.

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