Le strade di Roma si sono riempite di cittadini per una manifestazione nazionale con le richieste di un “cessate il fuoco subito” e di un “negoziato per la pace” in Ucraina.

La mobilitazione, specie se guidata da obiettivi alti come quello della pace, è sempre positiva nelle nostre democrazie.

Tuttavia, le forze politiche hanno il dovere di agire tenendo conto della realtà dei fatti se vogliono riuscire a costruire una pace duratura in Ucraina.

Il solco dovrebbe essere quello tracciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha evocato una pace giusta, fondata sul rispetto del diritto internazionale, la libertà e la libera determinazione dei popoli.

Da questo punto di vista, le richieste della piazza di Roma sono più ambigue.

Un “cessate il fuoco” immediato equivarrebbe a congelare l’attuale situazione sul terreno, lasciando in mano russa la Crimea, le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lughansk e le regioni di Kherson e Zaporizhia, il cui status finale sarebbe poi demandato ad un negoziato successivo.

 Ma quante speranze ci sono di una soluzione su queste basi?  Non molte. Con l’aggressione dell’Ucraina, Putin ha infatti perseguito l’obiettivo di ridurne la sovranità facendola rientrare nell’orbita russa.

Negoziare ora significherebbe accettare il fallimento definitivo di quell’obiettivo e quindi, di fatto, la sconfitta.

Invece, il Cremlino potrebbe decidere di utilizzare un “cessate il fuoco” per far rifiatare le proprie truppe, rifornirle e riarmarle, e per spaccare in due il fronte euro-atlantico, separando i paesi disposti a credere nella sua buona fede dagli altri.

I fatti delle ultime settimane suggeriscono che la Federazione Russa sceglierebbe quest’ultima soluzione.

Putin sembra aver alzato il tiro, decretando una mobilitazione parziale dei coscritti, dando il via ad una pesante campagna di bombardamenti contro infrastrutture civili, lanciando velate minacce di utilizzo dell’arma nucleare e ritirandosi dall’accordo per i corridoi umanitari che permettono l’esportazione del grano dai porti ucraini al Sud del mondo.

Ma anche se la Russia rispettasse in buona fede il “cessate il fuoco”, sembra difficile che accetterebbe, in fase negoziale, di restituire regioni occupate in parte già formalmente annesso.

Kiev dovrebbe accettare le amputazioni territoriali in barba al principio d’integrità territoriale.  Questo è ancora più ingiustificato se consideriamo che l’esercito ucraino è impegnato in una difficile ma fruttuosa controffensiva, che ha permesso di recuperare alcuni importanti porzioni di territorio, tra cui Kharkiv.

Far tacere le armi e parlare la diplomazia è un’aspirazione nobile, e  gli alleati europei e occidentali non hanno risparmiato gli sforzi in questa direzione, ma al momento la situazione non sembra favorevole.

Sostenere l’esercito

Sostenere l’esercito ucraino è ancora il modo più concreto per arrivare ad una pace che si possa definire “giusta” e quindi duratura, cioè che sostenga le aspirazioni di libertà e democrazia del popolo ucraino, che non lo obblighi ad affrontare altre atrocità come quella di Bucha, dove sono stati torturati e uccisi più di 450 civili.

Nonostante le difficoltà, il 60% degli europei resta favorevole al sostegno militare all’Ucraina.

L’Italia è agli ultimi posti tra i paesi che forniscono sostegno militare all’Ucraina, con 200 milioni di euro rispetto a 1,3 miliardi della Germania e ai 3,8 della Gran Bretagna. La cessazione degli aiuti italiani non altererebbe quindi in maniera significativa gli equilibri bellici.

Sarebbe però dannoso politicamente, perché romperebbe l’unità europea e occidentale.

 Inoltre, non soltanto arretreremmo di fronte ad un’aggressione illegale e violenta, non soltanto tradiremmo le promesse di protezione e di partenariato fatte ad un paese candidato dall’adesione all’Unione europea, ma apriremmo la strada a comportamenti predatori che minacciano il nostro sistema di valori e la nostra stessa sicurezza.

Non ha senso distinguere l’aggressore dall’aggredito se non si prendono tutte le misure necessarie per fermare l’aggressore e tutelare l’aggredito.

L’idealismo della piazza può creare senso di comunità e promuovere valori condivisi, ma l’idealismo della politica è positivo solo se saldamente ancorato ad un senso di realtà.

© Riproduzione riservata