Due schiaffi, e poi dritti a dormire. Così un prefetto del profondo sud francese risolverebbe i moti giovanili: poche storie, bisogna che i genitori mollino «un paio di sberle!», dice Hugues Moutouh che è noto anche come «il bulldozer». Intanto i giornali come il Figaro aprono dibattiti su «come reprimere efficacemente» le proteste e strillano in copertina che «i barbari» sono in agguato. Questi sono soltanto segnali periferici, bollettini meteo del clima di repressione che soffia nel paese.

Del resto quando è il presidente della Repubblica per primo, dal centro di potere per definizione e cioè dall’Eliseo, a predicare soluzioni da regime autoritario, tutto il resto finisce sdoganato. Emmanuel Macron si è reso responsabile di una inquietante svolta illiberale che prende forma nell’idea di imporre il blackout dei social network, nella pratica di mettere al bando le organizzazioni della società civile, nelle derive securitarie e in una violenza poliziesca che non solo il governo non discute, ma anzi alimenta e consolida.

Esiste una precisa traiettoria che ci racconta, mossa dopo mossa, una deriva: più il potere macroniano si percepisce come fragile, più risponde con la forza e la repressione.

Corpi speciali

Il poliziotto accusato di omicidio volontario del 17enne Nahel aveva un passato nella brigata di repressione “Brav-M”. Può sembrare un dettaglio trascurabile, eppure quel dettaglio torna. Lo si ritrova ad esempio nelle cronache delle violenze poliziesche durante le proteste contro la riforma delle pensioni, sia quelle più recenti che quelle del 2019; già all’epoca la brigata «per la repressione delle azioni violente» si rende in realtà esecutrice, di azioni violente, e butta a terra manifestanti come fossero birilli.

Questo corpo speciale nasce del resto con la missione ad hoc di intervenire durante proteste e movimenti: è uno dei modi brutali coi quali Macron reagisce alla propria debolezza; Brav-M nasce infatti con i gilet gialli, quando il potere dell’Eliseo traballa.

Guerra al civile

La repressione non è episodio, diventa sistema: in un paese già trasformato dagli stati d’urgenza, nel 2020 e quindi dopo i gilet gialli arriva la “legge sulla sicurezza globale”, uno dei segnali più gravi della svolta securitaria e repressiva macroniana. Sempre nel 2020, si installa al ministero degli Interni il sarkoziano Gérald Darmanin, che si incarica di recitare la destra estrema per conto del presidente. I più rappresentativi sindacati della polizia francese, gli stessi che dopo l’uccisione di Nahel hanno diramato comunicati contro «i nuisibles, i nefasti della società» e che hanno alluso alla «guerra» civile, sono pure i sindacati che orientano le politiche darmaniniane.

Con Macron, il ministro degli Interni spedisce poliziotti a migliaia per difendere i terreni degli agroindustriali dalle proteste degli attivisti climatici. Sempre con questo stile e questa guida, nei giorni in cui la premier Borne negava il voto parlamentare sulla riforma delle pensioni, e quando le proteste sociali e climatiche si sono saldate sui campi di Sainte-Soline, lì sono stati impediti i soccorsi ai manifestanti e la polizia ha messo in pratica una repressione con metodi da guerra.

I colpi sono arrivati sui corpi di chi protesta, ma anche sui corpi sociali: le organizzazioni che denunciavano le violenze poliziesche, o che organizzavano le proteste, sono state prese di mira. Il governo ha attaccato la Ligue des droits de l’Homme e ha sciolto d’imperio Les Soulèvements de la Terre.

Spegnere le reti sociali

Oggi Macron al secondo mandato, con sempre meno consenso e senza neppure una maggioranza certa in parlamento, reagisce alla propria fragilità col pugno duro; ai disordini scoppiati dopo la morte di Nahel, risponde inseguendo le rilevazioni Ipsos, che fotografano il bisogno d’ordine dei francesi. «Una richiesta di autorità forte». Il presidente arriva a ventilare il blackout dei social network durante i moti; un disegno che ricorda i regimi autoritari e altri presidenti, come Recep Tayyp Erdogan.

Finiscono inascoltati gli intellettuali come Fabien Jobard, che avvertono: «la polizia andrebbe liberata dai retaggi coloniali». L’èra Macron non fa che radicalizzare le esclusioni. Basti pensare alla crudele operazione «Wuambushu» lanciata nelle isole Mayotte per espellere forzatamente gli autoctoni.

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