Il presidente eletto e il suo fondatore di Tesla sembrano essere usciti da un ritratto satirico, ma sono reali. Perché quel che per anni è stato l’uso del sarcasmo a fini demolitori del paludatissimo empireo del potere si è fatto potere esso stesso, ovvero minaccia, preludio a scenari impensabili nell’era di una razionalità evidentemente troppo poco creativa
Tornano a mente i tempi de Il Male, quei cinque anni tra il ’78 e l’82 che segnarono la svolta nella satira di casa nostra. Ricordo la memorabile copertina su Tognazzi capo delle Br, e il sottotitolo che accompagnava la foto dell’attore ai ceppi con quell’altra battuta, «anche Vianello nella direzione strategica».
Era il modo di esorcizzare la brutalità degli anni, una violenza destinata a mutare corso agli eventi della politica, ma in quel confine tra realtà e paradosso convivevano, quasi sempre in armonia, istinti vitali e una consapevolezza della distinzione tra il veritiero e la sua caricatura.
Si poteva ridere del tragico, trasmutare l’angoscia in uno sghignazzo liberatorio, il punto è che appariva ben chiaro il discrimine tra il vero, il verosimile e le pasquinate in agguato. Quello fu il parto per altri capolavori del genere, il Tango del mio amico Staino e della sua genialissima e sgangherata comitiva, e poi Cuore, settimanale di resistenza umana di Michele Serra.
Altri titoli scolpiti nella memoria, l’autosatira iniettata nel corpaccione del Pci, forche caudine per molti (direi tutti) i protagonisti e comprimari di quelle stagioni. Perché rivangare pagine lontane? Ma perché neppure quegli eretici di penna e matita avrebbero osato spingersi dove la cronaca ci rinchiude.
Provate a collocarli a quel tempo un paio di titoli di giornata: «Reagan: pronti a invadere Panama e Groenlandia», e «Casa Bianca: il Canada è nostro», sottopancia «cambieremo nome al golfo del Messico». La settimana dopo? «Si parte alla volta di Marte», ma anche «Mille satelliti in offerta speciale: Palazzo Chigi gongola».
Non è fantastico? Quel che per anni è stato l’uso del sarcasmo a fini demolitori del paludatissimo empireo del potere si è fatto potere esso stesso, ovvero minaccia, preludio a scenari impensabili nell’era di una razionalità evidentemente troppo poco creativa.
Le conseguenze? Innanzitutto quelle che potremmo vedere in un futuro non troppo lontano. Per quanto rammento io, nessuno a Risiko piazzava carrarmati in Groenlandia, dunque per la legge del contrappasso potrebbe toccare a quelle lande ghiacciate farsi protagoniste di una prossima pagina di storia.
Sui satelliti, buoni a governare dati civili e supportare avventure militari, il discorso si fa per forza più serio, però anche qui l’ambizione iperbolica di un miliardario alla conquista dello spazio sconfina senza volerlo nell’immagine del cattivissimo intento a sparecchiare il mondo mentre carezza il gatto acciambellato in grembo. Quella era l’iconografia delle prime avventure di Bond (James Bond) con la Spectre a minacciare l’intero genere umano salvo pregevole intervento dell’agente in servizio permanente effettivo all’intelligence di Sua Maestà.
Ahimè, al contrario il nostro transito da satira e fantapolitica a una cruda rassegna di capitoli inediti del presente non riserva al momento colpi di scena di quelli capaci di ricomporre un mosaico precipitato in terra.
Il che, però, non dovrebbe giustificare nessuno a dare per archiviata la pratica. Nel senso di subire passivi l’idea che a maneggiare armi spaziali e valigette nucleari siano da qui a dieci giorni due ricchissimi signori malati di un ego cosmico e, il cielo non voglia, incontrollabili nelle loro pulsioni ciclopiche.
Perché finché l’uno s’impegna e far tornare grande l’America e l’altro a riempire all’inverosimile il deposito di zio Paperone, si potrebbe dire che sono affari loro. Il punto è che la loro foga a trasporre la satira in realtà (o il mondo in satira) ci piaccia o meno è un problema anche nostro e delle nostre malconce democrazie.
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