Le ultime settimane hanno mostrato senza ombra di dubbio quanto sia diventato complicato il compito delle banche centrali. In tempi normali, le fiammate inflazionistiche si accompagnano a un surriscaldamento dell’economia causato da aumenti della spesa (pubblica o privata, poco importa), per cui una politica restrittiva ottiene allo stesso tempo il risultato di tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi e di raffreddare la domanda. Ma oggi non viviamo in tempi normali.

In un mondo caratterizzato da crescenti rischi geopolitici e da shock dal lato dell’offerta (le pandemie, l’interruzione delle catene di approvvigionamento, il cambiamento strutturale legato alla transizione ecologica e digitale), la politica monetaria è ormai un esercizio molto più complesso. I due obiettivi di crescita e di inflazione diventano contraddittori: le banche centrali sono costrette a complicati gesti d’equilibrismo per cercare di ridurre un’inflazione che hanno pochi strumenti per controllare, senza causare un crollo di consumi e investimenti che manderebbe l’economia in recessione.

Rischio recessione

Già negli Stati Uniti, dove almeno una parte dell’inflazione è “classica” in quanto dovuta al surriscaldamento dell’economia, è difficile comprendere la logica di una stretta più veloce e più marcata di quanto non fosse stato annunciato. Il rischio che le mosse della Fed causino una recessione nei prossimi trimestri è reale.

Nell’Eurozona poi, il compito della Bce è ulteriormente complicato dalla coesistenza di una politica monetaria unica con le diciannove politiche di bilancio dei paesi membri, e dal conseguente rischio di instabilità finanziaria e di segmentazione dei mercati del debito sovrano (detto in altri termini, movimenti speculativi o dettati dal panico che provocano un aumento degli spread).

Quindi, non solo la Bce deve decidere quanto è disposta a correre il rischio di far entrare l’economia in recessione per cercare di tenere sotto controllo l’inflazione; deve anche essere pronta a gestire le conseguenze che le sue azioni hanno sugli spread.

Certo, le turbolenze di queste settimane sono sicuramente dovute a una comunicazione non impeccabile, che ha dato ai mercati la sensazione di una Bce incerta sul da farsi. Inoltre, lascia francamente esterrefatti scoprire, quando i mercati sono già nel panico, che la Bce «sta preparando» uno scudo anti spread. Lo scudo avrebbe dovuto essere già pronto da mesi, per essere dispiegato non appena gli annunci in senso restrittivo avessero creato tensioni nei mercati, ampiamente prevedibili.

Chiedere l’impossibile

Tuttavia, errori e ritardi non possono nascondere il problema fondamentale: alla Bce è oggi domandato di svolgere i propri compiti classici e di assicurare la stabilità dei mercati finanziari, a fronte di una politica di bilancio che fa sempre troppo poco e troppo tardi. Anche con una guida più salda e con maggiore coesione al suo interno, l’istituto di Francoforte non potrebbe portare sulle proprie spalle l’intero peso dell’Eurozona; soprattutto in tempi turbolenti come quelli che stiamo vivendo.

La comunicazione erratica, la sensazione che la Bce sia perennemente in ritardo sugli eventi, allora, non sono da attribuire all’incompetenza della sua presidente o ai conflitti tra falchi e colombe; alla Bce si chiede probabilmente l’impossibile.

Come se ne esce? Cosa occorre perché alla Bce non sia più delegato il compito di portare l’intera eurozona sulle spalle? Intanto nella lotta all’inflazione occorre che la politica monetaria sia coadiuvata da politiche industriali che eliminino i colli di bottiglia e aumentino l’offerta. Poi, occorre ridurre il rischio di segmentazione dei mercati del debito sovrano. Per questo si può intanto procedere con decisione con la creazione di una capacità di bilancio centralizzata, che ad esempio si occupi di fornire beni pubblici europei quali la salute, le infrastrutture di trasporto o ancora gli investimenti per la transizione ecologica. Sostituire parte del debito degli stati membri con un debito comune, oltre a stabilizzare i mercati finanziari con un safe asset, un attivo sicuro, ridurrebbe meccanicamente la segmentazione dei mercati dei titoli sovrani.

Un diaframma tra Stati e mercati

Tuttavia, la normalizzazione della politica monetaria potrebbe avvenire solo con una soluzione che sollevi la Bce dall’obbiettivo di tenere sotto controllo gli spread. Una proposta (solo apparentemente radicale) su cui lavoro con un gruppo di colleghi e di cui ho già parlato su queste colonne, è quella di costituire un’Agenzia europea del debito.

Quest’Agenzia costituirebbe un diaframma tra i paesi membri, cui concederebbe prestiti perpetui, e i mercati, da cui si finanzierebbe emettendo eurobond. Così, consentirebbe di proteggere i paesi membri dall’irrazionalità dei mercati garantendo allo stesso tempo, mediante un’appropriata modulazione nel tempo dei pagamenti degli interessi sui prestiti, che i governi nazionali rimangano pienamente responsabili della loro condotta di bilancio: paesi meno virtuosi (ad esempio che non rispettano le regole fiscali) sarebbero chiamati a pagare interessi più alti.

Non ci sarebbe quindi la mutualizzazione del debito tanto temuta dai paesi detti frugali, preoccupati di dover pagare per la spesa allegra degli altri. Si tratta di una soluzione solo apparentemente radicale perché nel recente passato è diventata consuetudine che le istituzioni europee (il Mes, lo Sure, lo stesso Next generation Eu) prendano in prestito a tassi preferenziali e poi trasferiscano tali tassi agli Stati membri, agendo di fatto come garanti e come intermediari. L’Agenzia europea del debito porterebbe questo meccanismo fino alle sue estreme conseguenze.

Tranquillizzare i frugali

Con la costituzione dell’Agenzia europea del debito si creerebbe un unico mercato del debito sovrano europeo, imitando il funzionamento di un sistema federale. Questo da un lato fornirebbe ai mercati un attivo sicuro e, come negli Stati Uniti, ridurrebbe praticamente a zero il rischio di attacchi speculativi. Dall’altro lato, libererebbe la Bce dal compito di dover tenere bassi gli spread. L’istituto di Francoforte sarebbe libero di fissare i tassi di interesse e di decidere quanti titoli pubblici acquistare con in mente solo gli obiettivi propri di una banca centrale di tenere bassa l’inflazione e sostenere la crescita.

Si può dimostrare che l’Agenzia del debito porterebbe vantaggi anche ai paesi detti frugali, in termini di stabilità finanziaria, rendimenti per i risparmiatori, disciplina di bilancio. L’opposizione a uno strumento del genere è quindi frutto di ignoranza nel migliore dei casi, di preclusione ideologica nel peggiore. C’è da sperare che la ragionevolezza alla fine abbia la meglio.

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