L’ascesa di Giorgia Meloni è stata così improvvisa da aver creato un disorientamento in chi deve scegliere gli argomenti a lei contrari. In modo particolare, ciò accade rispetto al suo legame col fascismo. Matteo Renzi ha detto che «Meloni non è fascista, la demonizzano come fece la sinistra con Berlusconi».

Ma Renzi non è certo l’unico: tanti sono quelli che sostengono che l’errore più grande sarebbe concedere all’avversario politico una sua ennesima demonizzazione. C’è evidente una tentazione: normalizzare Meloni come sarebbe stato giusto fare anche con Berlusconi.

Normalizzare la campagna elettorale

Quali argomenti si devono usare, se prendiamo sul serio questa normalizzazione? Sostanzialmente bisognerebbe polemizzare con la destra per le posizioni anti-europeiste, i contenuti populisti, le politiche securitarie e il conservatorismo sui diritti civili.

Ma Meloni è più furba di Matteo Salvini: non farà mai l’errore di proporre Paolo Savona come ministro. Sa che gli interessi delle élite non vengono toccati dalla sicurezza e dai diritti civili. Per questo sta conducendo una campagna elettorale rassicurante, moderando il suo anti-europeismo.

Quanto alla politica economica, tutto sommato il rischio è di ridurre il programma della destra alla flat tax, per poi magari concludere che non si farà mai.

Sul resto si preferisce tacere: sulla privatizzazione della sanità, sulla pietra tombale dell’Università pubblica, sulla questione salariale, sulla prospettiva di sospendere ulteriormente le politiche industriali pubbliche e lasciarle all’approssimazione delle imprese.

La normalizzazione di Meloni passa innanzitutto per una narrazione per cui quel che abbiamo davanti è un governo di destra che non porterà in fondo danni irreparabili agli equilibri di questo paese (e che comunque avrà sempre il paracadute di un governo d’emergenza).

Al contrario, sarebbe necessario spiegare che un governo della destra avrà come compito fondamentale quello di decostruire  non solo la forma della nostra Costituzione, ma soprattutto l’idea di società che ne orientava il progetto.

La minaccia del fascismo è inattuale?

Normalizzare la campagna elettorale passerebbe soprattutto per il divieto di utilizzo dell’accusa di fascismo. L’argomento è: il fascismo è una minaccia insussistente e ormai vuota. Non solo non è utile evocarlo in questa campagna elettorale, ma non è neanche corretto.

È il riflesso condizionato di una storia italiana morta e sepolta. Ricordiamo tutti, era il 1996, le parole di Luciano Violante su fascismo e antifascismo. Venivano all’inizio della stagione berlusconiana, tutta tesa a minimizzare il fascismo e a delegittimare il ruolo del comunismo italiano nella resistenza antifascista.

Ecco, a me pare che la normalizzazione di Giorgia Meloni sia il segno preoccupante del fatto che quel progetto civile di riscrittura della storia italiana sia ormai egemonico.

C’è però qualcosa da imparare, in queste critiche. Per esempio il fatto che le parole dell’antifascismo vanno rinnovate. Per quanto le reti neofasciste di Fratelli d’Italia siano note, non ho alcuna difficoltà a concedere che il pericolo del fascismo non c’entra col fascismo storico.

C’entra con una questione ben più sottile e che il contesto internazionale ci suggerisce di prendere sul serio: qual è il limite oltre il quale una democrazia liberale si trasforma in una democrazia illiberale?

Il pericolo concreto del fascismo

È la risposta a questa domanda che definisce la minaccia fascista di Meloni. E su questo abbiamo tutto il diritto di essere preoccupati.  Io non temo che torni Benito Mussolini, ma che la maggioranza parlamentare schiacciante che la destra rischia di ottenere possa far scivolare l’Italia verso quel punto in cui una democrazia liberale non è che un guscio vuoto.

Non si tratta di demonizzare, ma di portare argomenti concreti. Una democrazia in cui diritti civili fondamentali sono resi inattuabili, la libertà di opinione ristretta, la separazione dei poteri destabilizzata, i diritti sociali ignorati a tutto vantaggio dei privilegi di pochi è ancora una democrazia sostanziale?

Questo modello di democrazia non è un fantasma del passato, ma un progetto presente a cui Meloni esplicitamente si rifà.

Riproporre la minaccia del fascismo vuol dire definirlo secondo canoni contemporanei: il tentativo di uno svuotamento sostanziale della democrazia che la ridurrebbe a semplice dispositivo formale, col solo compito di assicurare il diritto di investitura delle élite.

Se il fascismo è ciò che si oppone alla democrazia, allora l’argomento del comunismo è davvero consunto.Se è rimasta un’eredità politica del comunismo italiano – eredità che su tanti altri temi si stenta ormai a riconoscere - è proprio, nel travaglio della sua storia, la difesa della democrazia da tutti i regimi che ne svuotano il significato (oggi davvero vale ciò che sostenevano gli intellettuali riuniti intorno alla rivista Socialisme ou Barbarie).

Si può dire con chiarezza: non esiste più un antifascismo antidemocratico.

La tentazione del fascismo non proviene soltanto dall’esterno della democrazia. È un esito sempre possibile che appartiene alla fragilità e alla autonomia propria degli esperimenti democratici.

Si tratta di un limite che possiamo purtroppo riconoscere solo a cose fatte, quando è ormai tardi. È questo scivolamento diventato esplicito programma politico a preoccuparmi.

Sono consapevole che gli astensionisti non si convincono con questi temi di principio. Ma non si convincono neanche tacendo la radicalità distruttiva del progetto cui vogliamo opporci.

Per questo suggerisco di non sottovalutare la domanda di prima: siamo certi che il punto in cui una democrazia liberale diventa illiberale sia così distante, se le elezioni vanno in un certo modo?

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