Le risposte al mio intervento di qualche giorno fa da parte di Mattia Ferraresi e Roberta De Monticelli segnalano l’urgenza della questione che sollevavo. Sebbene in disaccordo con parte della mia diagnosi, anche la risposta di Ferraresi mostra la diversa percezione che si ha nei confronti degli scandali a sinistra rispetto ad analoghi (e ben più diffusi) scandali a destra. È vero che lo scandalo al parlamento europeo è molto significativo, ma l’indignazione recente era partita con la questione Soumahoro. Pur essendo un esercizio controfattuale, mi pare ovvio pensare che un dibattito del genere non sarebbe stato scritto di fronte a una delle tante inchieste locali e nazionali che coinvolgono i partiti di maggioranza.

Se, quindi, il fenomeno di sofferta e lacerata doppia morale esiste, la questione è capirne il perché e proporre delle soluzioni. Nel mio articolo suggerivo che uno dei possibili motivi risiede nel diverso uso degli argomenti: a sinistra maggiormente basati sui principi, a destra maggiormente basati sulla difesa di interessi specifici. Con ciò la destra si sarebbe maggiormente immunizzata dall’accusa di incoerenza.

Questa possibile spiegazione, parziale elemento di un fenomeno ovviamente molto più complesso, cerca di chiarire questa dinamica senza usare la tanto abusata e in fondo inaffidabile tesi della superiorità morale della sinistra. Anche se ammettessimo che fosse vera, non potremmo presumere che i buoni stiano da una parte e i cattivi dall’altra, o nemmeno che chi vota a destra genuinamente pensi di essere moralmente inferiore agli elettori di sinistra. Ciascuna persona, a torto o a ragione, pensa di fare una cosa giusta con il proprio voto. Infatti, contrariamente a quanto assume Ferraresi, non è detto che i principi siano di per sé giusti e gli interessi sbagliati. Spesso lo sono ma non necessariamente.

I principi formulano idee in maniera più generale e quindi imparziale, gli interessi, invece, servono a qualcuno. Ma in certi casi può essere giusto servire gli interessi di qualcuno, per esempio se è più svantaggiato. Il problema è quando non si si riesce a mostrare che i principi servono anche gli interessi diffusi, o, al contrario, quando si difendono interessi specifici spacciandoli per questioni di principio.

Venendo alle soluzioni, ha ragione Ferraresi nel dire che, in un contesto di democrazia pluralista, non abbiamo bisogno della “polizia morale”. Ma non è ciò che suggerivo e, volendo usare la dicotomia realismo-idealismo che Ferraresi suggerisce, è ingenuo usare un quadro di onesta competizione elettorale quando di fronte ci sono attori (Trump e Berlusconi, ma non solo) che non accettano regole comuni.

L’intervento di Roberta De Monticelli, riprendendo una proposta di Panebianco, suggerisce di rendere l’elezione al parlamento europeo maggiormente europea. Per farlo ci vorrebbe un cambiamento regolamentare ma anche culturale che crei un’opinione pubblica europea e mostri l’importanza del parlamento in tante decisioni che ci toccano. Concordo e mi limito ad aggiungere che soltanto combinando il linguaggio dei principi con quello degli interessi si può superare questo ostacolo politico e culturale. La cosa difficile è mostrare che molti dei principi portati avanti goffamente e incoerentemente (come l’allargamento, la difesa dello stato di diritto, la neutralità climatica) sono anche nel nostro interesse. Il problema è la mancanza di partiti e leader capaci di fare questo discorso e di metterlo in pratica.

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