La leggenda è nota: Alessandro Magno, giunto nella città di Gordio (oggi poco distante da Ankara), si trovò di fronte a un inviluppo di funi e a una profezia: chiunque fosse riuscito a sciogliere quel nodo avrebbe dominato l’intera Asia. Il re macedone risolse la questione con un colpo di spada, risparmiando tempo e diottrie.

Il gesto è passato alla storia come metafora di un rimedio drastico e sbrigativo per risolvere situazioni complesse. Ma nel 1953 Carl Schmitt e Ernst Jünger vi dedicarono un saggio che ne metteva in luce un significato più profondo, associato alla complessità del rapporto tra oriente e occidente. Oggi in molti hanno evidenziato l’attinenza di quel lavoro con gli scenari geopolitici attuali, invitando ad interrogarsi su quali siano i loro moderni confini e quale significato assuma quel taglio.

Il taglio come svolta

Già Jünger e Schimtt denunciavano un fraintendimento. Dai tempi di Erodoto le società sorte a ovest e a est dei Dardanelli si sono caricate di significati simbolici contrapposti: razionalità contro fantasia, diritto contro arbitrio e, più di ogni cosa, libertà contro autocrazia (del resto Alessandro, realizzando la profezia, divenne un dispotico monarca persiano).
Ma il taglio non allude a una rottura radicale tra antinomie, piuttosto al momento di svolta nelle relazioni tra due autonomie. Il nodo rappresenta l’intricata connessione tra due mondi la cui cesura crea altri nodi e offre nuovi intrecci. Oggi, come nell’età classica, quel continuo stringersi e sciogliersi di legami è l’essenza della politica, rappresentata anche nel perpetuo scorporarsi e incorporarsi di culture limitrofe.
A Gordio comincia l’ellenizzazione dei barbari e l’orientalizzazione dei greci, ma persino la loro guerra è stata un incessante processo di confronto con “l’altro”.

Il rischio del muro 

All’opposto del “nodo” c’è la “cortina”, espressione che nel 1953 due tedeschi come Schmitt e Jünger potevano toccare con mano. Un muro impermeabile al dialogo che può essere rimosso solo crollando.
Allora era facile capire dove passasse la divisione tra est e ovest. Oggi i punti cardinali sono più che mai intricati, con società “orientali” che hanno abbracciato paradigmi “occidentali” (Taiwan, Giappone e Corea del Sud) e altre che occupano zone di confine, dove la bussola della storia le fa oscillare tra un estremo e l’altro (Russia e Turchia).
A ben vedere, tuttavia, l’interpretazione va oltre la geopolitica: i tratti di polarizzazione descritti da Junger e Schimtt sono anzitutto “orizzonti interiori” attraverso cui si intrecciano i nodi della nostra civiltà. In fondo, la contrapposizione di parole come diritto, libertà e autoritarismo anima il lessico della nostra stessa dialettica politica.

È proprio in questo contesto che è possibile osservare quanto la società contemporanea sia tentata di scorgere nei nodi non più una danza tra diverse identità che si intrecciano e si separano, ma una cortina impossibile da abbattere.
Se a livello mondiale la polarità oriente e occidente pare sempre più acuirsi, allo stesso modo abbiamo eretto all’interno delle nostre società “muri” tra l’ovest e l’est delle nostre coscienze. Li abbiamo costruiti con i mattoni della politica personificata e della negazione dell’avversario, con i nostri social media e il nostro odio a far da sentinella.

Ogni dibattito — dall’Europa alle prese con le candidature a Bruxelles, al New Hampshire impegnato nelle primarie presidenziali — diventa occasione per comunicare solo con il proprio lato della cortina, senza repliche. E, mentre i fili dei contenuti pendono inerti di fronte alla contrapposizione assoluta, appare evidente che non siamo più in grado né di annodare, né di recidere le idee.

Junger e Schimtt ci avevano inoltre avvertito di un pericolo molto serio: i nodi di oggi rischiano di essere tagliati non dalla spada, ma con la bomba atomica. Per fortuna, nel confronto politico nostrano, Elly Schlein e Giorgia Meloni non sono potenze nucleari, ma è bene ricordare che ogni sfida globale comincia dall’iniziativa del singolo: spiegargli come la “cultura dei nodi” sia meglio della “cultura delle cortine” sarebbe già un buon inizio.

© Riproduzione riservata